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 Tutela dei dati personali - Legge 675/96

Stampa e riservatezza: è urgente modificare l'articolo 25
di Manlio Cammarata - 12.02.98

Ieri, 11 febbraio, il Garante per la protezione dei dati personali e il Ministro di grazia e giustizia, Flick, hanno partecipato alla tavola rotonda sul tema "Diritto di cronaca e tutela della persona", organizzata a Napoli dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Oggetto della discussione il codice deontologico previsto dall'articolo 25 della legge 675/96. Codice che è stato presentato al Garante dopo una difficile gestazione, e che il Garante ha respinto al mittente con una serie di osservazioni di non poco rilievo.

L'incontro non è servito a sanare i contrasti: da una parte i giornalisti che rivendicano, con accenti diversi, la libertà di stampa anche nei confronti delle norme sulla riservatezza, dall'altra il Garante che osserva come nel codice di autoregolamentazione proposto dall'Ordine vi siano clausole in contrasto con il dettato sia della legge 675/96, sia con il codice penale. Come spesso accade in casi del genere, ambedue le parti hanno ragione, almeno su alcuni aspetti, sicché si dovrebbe trovare una soluzione "politica". Ma è impossibile, perché un compromesso che possa soddisfare il mondo della stampa andrebbe contro il dettato legislativo. Questa è la realtà dei fatti, che però è stata offuscata dalle polemiche delle ultime settimane.
E' quindi opportuno mettere in chiaro nel modo più semplice possibile le ragioni del contrasto, evitando di scendere nei dettagli della discussione.

L'articolo 25 della legge prevede al comma 1 alcune eccezioni alla disciplina generale sul trattamento dei dati, eccezioni che riguardano in particolare la non necessità del consenso dell'interessato per i dati sensibili (articolo 22), salvo che per quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, mentre per diffondere quelli relativi alle informazioni connesse a procedimenti penali (articolo 24) non sono necessarie espresse disposizioni di legge o autorizzazioni del Garante.
Il secondo comma prevede che il Garante promuova l'adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, di un apposito codice di deontologia relativo al trattamento dei dati di cui al comma 1 del presente articolo effettuato nell'esercizio della professione di giornalista, che preveda misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati rapportate alla natura dei dati. Nella fase di formazione del codice, ovvero successivamente, il Garante prescrive eventuali misure e accorgimenti a garanzia degli interessati, che il Consiglio è tenuto e recepire. Se il Consiglio non provvede, dice il secondo comma, provvede il Garante. E nel caso in cui i giornalisti non rispettino il codice, il Garante può vietare il trattamento dei dati.

Questo significa che, salvo le eccezioni previste dal primo comma, tutte le disposizioni della legge si applicano alla diffusione attraverso la stampa di dati personali: l'informativa all'interessato, il consenso del medesimo (anche se limitato alle informazioni sullo stato di salute e la vita sessuale), il diritto di accesso (con il connesso diritto di ottenere correzioni o cancellazioni), la notificazione al Garante, l'autorizzazione per il trasferimento dei dati all'estero (articolo 28) e via elencando.
E' evidente che l'applicazione puntigliosa di queste norme renderebbe molto difficile l'attività del giornalista.

D'altra parte non sembrano accettabili alcune previsioni del codice proposto dal Consiglio, come quella contenuta nel preambolo, dove si afferma che la raccolta, la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende relativi a persone, organismi collettivi, istituzioni, costumi, ricerche scientifiche e movimenti di pensiero, attuate nell'ambito dell'attività giornalistica e per gli scopi propri di tale attività, non sono assimilabili alla memorizzazione e al trattamento di dati personali ad opera di banche dati o altri soggetti, in quanto condizione essenziale per l'esercizio del diritto di cronaca e, pertanto, richiedono l'introduzione di alcune eccezioni alla disciplina prevista dalla legge 675/96. Un'eccezione a una legge non può essere prevista che da un'altra legge, non certo da un codice deontologico anche se assume il rango di una speciale norma secondaria(1) dell'ordinamento giuridico, come afferma il Garante.
Ma c'è un altro punto del passo citato da considerare con attenzione: le attività giornalistiche non sono assimilabili alla memorizzazione e al trattamento di dati personali ad opera di banche dati o altri soggetti. L'affermazione è tutt'altro che infondata alla luce del senso comune, ma è contraria al dettato della legge 675 e anche della direttiva europea
95/46, che considerano "trattamento" qualsiasi operazione compiuta su dati personali, da chiunque e per qualsiasi finalità. Da questo limite non si può uscire.

Un altro aspetto critico è quello relativo a un possibile contrasto tra l'articolo 21 della Costituzione e il potere di intervento che l'articolo 25 della 675/96 assegna al Garante. Su questo punto occorre molta prudenza, perché non è affatto pacifico che eventuali interventi del Garante, o anche la sua competenza sulle norme del codice deontologico non siano in contrasto con il principio che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Ma si deve anche considerare che le osservazioni del Garante sul testo del Consiglio nazionale, soprattutto per la parte che riguarda eventuali contraddizioni con il codice penale, non sono infondate. E' chiaro che la presenza in un codice di deontologia di disposizioni contrarie all'ordinamento è priva di qualsiasi effetto e che nessuna autoregolamentazione può scalfire le competenze del giudice penale, ma è difficile immaginare che il Garante possa avallare un testo che presenta norme quanto meno in odore di illegittimità.

A questo punto una riforma dell'articolo 25, già da tempo ipotizzata dal Garante e presa in considerazione anche dal ministro Flick, appare come l'unica via d'uscita a una situazione bloccata.
Ma non è il caso di aspettarsi una rivoluzione: un decreto legislativo ex art. 2 della legge
676/96 non può derogare dal rispetto dei principi e della impostazione sistematica della legislazione e quindi non può accogliere il principio che il trattamento dei dati personali nell'attività giornalistica è cosa diversa da altri tipi di trattamento. Questo limita il campo di intervento del Governo, ma anche il Parlamento ben poco potrebbe fare, data l'impostazione della direttiva europea.

Non resta che limare quanto più possibile l'articolo 25 e prepararsi a future, altrettanto difficili limature di tutta la normativa, che già oggi appare difficile da governare, tra leggi, decreti legislativi, autorizzazioni generali e interpretazioni varie; alla fine dei diciotto mesi previsti per portare a termine integrazioni e correzioni sarà un groviglio inestricabile. Non sarebbe quindi opportuno incominciare a pensare di chiamare in causa il Parlamento, non per apportare modifiche a questa legge, (che complicherebbero ancora di più le cose), ma per impostare una legge nuova e più funzionale?

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1 Alcuni giuristi non condividono questa affermazione. Considerando la crescente importanza che i codici di autoregolamentazione assumono nell'ambito della corrente tendenza alla "delegificazione", è urgente avviare una discussione sulla natura giuridica degli strumenti di autodisciplina.