I veri problemi del costo
dell'internet - 2
di Manlio Cammarata - 21.07.99
E arriva Infostrada, con il lancio di Libero.
L'iniziativa segue quella di Tiscali
e indica una possibile via dello sviluppo commerciale dell'internet in Italia.
Ne parleremo fra un attimo.
Prima è opportuno concludere il discorso iniziato con l'articolo
di una settimana fa, perché non abbiamo
esaurito il discorso sui dieci
punti nei quali ho schematizzato la
situazione.
La trappola del servizio universale (punto
7)
L'idea che l'accesso all'internet debba essere assicurato a tutti nell'ambito
del servizio universale è suggestiva e indica che, finalmente, si fa strada il
concetto che la rete non è solo un passatempo per qualche svitato, compresi i
pirati informatici, i pedofili e i perditempo in generale...
Avevo lanciato il concetto nel dicembre del '97 in Internet
come servizio universale: una battaglia da vincere,
a proposito di un emendamento al collegato alla legge finanziaria per il '98
(sì, per il '98, non è un refuso!) che prevedeva, fra l'altro "Il
ministro delle comunicazioni, d'intesa con il ministro dell'università e della
ricerca scientifica, adotta provvedimenti finalizzati a garantire la pari
opportunità di accesso ad internet, anche al fine di evitare discriminazioni di
tipo territoriale".
E' triste constatare che, quasi due anni dopo, siamo ancora allo stesso punto.
Ma il problema è un altro: con l'evoluzione del mercato delle telecomunicazioni
la proposta di inclusione dell'accesso alla rete nel servizio universale deve
essere ritirata, almeno se per "servizio universale" si intende quello
descritto dalla normativa.
Infatti, per il DPR
318/97, articolo 1 (che riprende le
disposizioni comunitarie), il servizio universale è un insieme minimo
definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a
prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni
specifiche nazionali, ad un prezzo accessibile. L'articolo
3, dopo aver elencato i contenuti minimi
- ma proprio "minimi" - che devono essere compresi nel servizio
universale, al comma 2 prevede che Il contenuto del servizio universale può
evolvere sulla base del progresso tecnologico e degli sviluppi del mercato e la
relativa valutazione e la sua eventuale revisione sono effettuate almeno ogni
due anni dal Ministro delle comunicazioni, sentita l'Autorità.
E ora viene il bello. Il comma 4 dello stesso articolo afferma che La
società Telecom Italia è l'organismo di telecomunicazioni incaricato di
fornire il servizio universale sul territorio nazionale. A partire dal 1°
gennaio 1998 possono essere incaricati della fornitura del servizio universale
anche altri organismi di telecomunicazioni che, nel rispetto delle condizioni
previste dal presente regolamento ed in particolare dall'art.6, comma 7, sono in
grado di garantire la fornitura dei servizi di cui al comma 1 su tutto il
territorio nazionale o su parte di essa a condizioni economiche accessibili a
tutti e non discriminatorie rispetto alla localizzazione geografica dell'utente.
Dov'è il problema? E' nel fatto che il servizio
universale può costituire un onere non indifferente (si pensi al costo della
linea che raggiunge un utente isolato in mezzo alle montagne, che non potrà mai
essere coperto dal canone e dagli scatti) e quindi è necessario che sia in
qualche modo remunerato. Provvede il comma 6: Qualora, in base alle
disposizioni del presente articolo, gli obblighi di fornitura del servizio
universale rappresentino un onere iniquo per l'organismo o gli organismi
incaricati di fornire il servizio universale, è previsto un meccanismo atto a
ripartire il costo netto dei suddetti obblighi con altri organismi che
gestiscono reti pubbliche di telecomunicazioni, con fornitori di servizi di
telefonia vocale accessibili al pubblico e con organismi che prestano servizi di
comunicazione mobili e personali.
I commi successivi scendono nei dettagli, quanto basta per capire che, almeno
per la telefonia vocale, l'unico operatore che potrà fornire il servizio
universale è Telecom Italia, attingendo a un fondo costituito dai versamenti di
tutti gli altri operatori. E, fin qui, niente di male.
Ma tra il servizio telefonico e l'accesso all'internet c'è una differenza
fondamentale: l'abbonato al telefono non rende altro che il canone e gli scatti,
mentre l'abbonato all'internet è un pollo da spennare, come vedremo meglio tra
poco. Quindi, se si applicasse agli abbonamenti alla rete lo stesso meccanismo
del servizio universale telefonico, Telecom Italia acquisirebbe una massa di
abbonati... pagata dai suoi concorrenti! Evidentemente in questa ipotesi c'è
qualcosa che non funziona.
Si può anche immaginare che l'accesso universale
possa essere fornito da più operatori (cioè tutti, perché sono tutti
interessati ad acquisire abbonati alla rete), ma allora che a che serve il fondo
per il finanziamento del servizio universale, se tutti quelli che vi possono
attingere devono anche alimentarlo? Non è più semplice che ciascuno sostenga
il costo dei propri "abbonati"?
Infatti: abbiamo già due operatori che offrono l'abbonamento gratis, e altri
seguiranno. Ma, dirà qualcuno, non stiamo parlando del costo dell'abbonamento,
ma del costo della connessione, cioè della tariffa a tempo. Giusto.
Il fatto è che la tariffa di interconnessione (cioè l'importo che l'operatore
alla cui rete sono dirette le chiamate incassa da Telecom, dalla cui rete le
chiamate partono) serve a coprire i costi del servizio. Se le chiamate devono
essere gratis, o quasi, nessuno è interessato a fornire l'abbonamento gratuito,
perché senza l'incasso degli scatti non ci sono i soldi per la quota di
interconnessione. Allora la soluzione potrebbe essere quella della connessione
gratis (o quasi) e del ritorno del canone di abbonamento: il gatto si morde la
coda.
C'è un'altra ipotesi, in verità la più facile:
che con il termine "servizio universale" si intenda semplicemente la
parità del diritto di accesso, cioè tutti alla stessa tariffa,
indipendentemente dalla distanza tra abbonato e provider. Dunque si tratterebbe
di porre a carico del servizio universale la differenza tra la tariffa urbana e
una tariffa "agevolata" per l'internet. A prima vista potrebbe essere
l'uovo di Colombo, ma anche qui la situazione è molto complessa, per diversi
motivi:
a) si dovrebbe trovare il modo di superare il divieto comunitario di applicare
tariffe diverse per servizi analoghi;
b) si dovrebbe individuare l'operatore (o gli operatori) incaricati di fornire
il servizio, ritornando ai problemi visti nel paragrafo precedente;
c) si dovrebbe dimostrare (DPR
318/97, articolo 3, comma 6) che la
"agevolazione" rappresenta un "onere iniquo" per chi
fornisce il servizio agevolato (dimostrazione difficile, considerando il costo
reale di una connessione).
Ma ormai questo è un discorso inutile, prima di tutto in vista dell'imminente
introduzione della "tariffa di prossimità". Poi perché nel momento
in cui i maggiori operatori nazionali, in concorrenza, offrono l'abbonamento
gratis, predispongono anche il maggior numero possibile di nodi in tutti i
distretti telefonici, in modo di catturare abbonati a tariffa urbana anche nei
posti più sperduti.
Conclusione: l'evoluzione del mercato sta per assicurare nei fatti quella
parità nel diritto di accesso (è ormai questione di mesi) che i politici non
sono riusciti a introdurre, dopo anni di chiacchiere.
Lunghi collegamenti e tariffe agevolate (punti 3,
5 e 6)
Se la
TV costasse 2.600 lire all'ora... come
chiede Alessandro Ghezzer nella sua lettera, quante persone passerebbero tanto
tempo davanti al video? Ghezzer fa due conti, ipotizzando collegamenti
quotidiani di due ore, tutti i giorni, e ottiene una somma non indifferente. Ma
il punto di partenza non è condivisibile, perché settecento ore l'anno sono un
tempo esagerato: le statistiche mostrano che in questa fase dello sviluppo della
rete sono pochissimi gli abbonati che superano la mezz'ora quotidiana. Certo, se
non ci fosse la TUT i collegamenti sarebbero più lunghi: quanto più lunghi?
Difficile prevederlo, ma un dato di fatto è certo: tutti quelli che oggi si
collegano per pochi minuti diverse volte in una giornata, pagando ogni volta lo
scatto alla risposta, non dovrebbero fare altro che restare sempre collegati,
pagando un solo scatto per molte ore di uso della "porta" del
provider. Dunque questi dovrebbe aumentare, e non di poco, il numero di modem.
Oggi si può assicurare un buon servizio con un
modem ogni 15 - 17 abbonati, cifra che deriva dal calcolo del tempo di
collegamento dell'utente medio, corretto in funzione della necessità di
assicurare un tempo ragionevole di attesa della linea libera nei momenti di
maggiore afflusso. Ora, se solo un quarto degli utenti restasse
"attaccato" in continuazione per mezza giornata, si dovrebbe
raddoppiare o triplicare il numero dei modem per abbonato, e tutte le altre
risorse dovrebbero essere moltiplicate in proporzione. Dunque il ricavato
dell'abbonamento dovrebbe coprire un parte considerevole del costo di una
"porta", cioè del modem e di tutto quello che gli sta dietro,
compresa la manutenzione e un ragionevole utile per l'operatore: a spanne, da
cinquecentomila a un milione di lire l'anno.
In queste condizioni i proventi dell'interconnessione non sarebbero sufficienti
a coprire i costi del servizio, e allora addio abbonamenti gratis, addio al
sogno della free internet!
D'altra parte anche l'osservazione che la TUT
italiana è tra le più basse d'Europa non può essere accettata del tutto, sia
in relazione al potere di acquisto dei cittadini sui rispettivi mercati
nazionali, sia perché il prezzo da pagare deve essere valutato in funzione
dell'interesse dell'acquirente del servizio. Se gli italiani non sono convinti
che il servizio giustifichi il costo, e se si vuole che un maggior numero di
italiani "vada on line", è necessario che il prezzo, in qualche modo,
diminuisca.
Il problema è "come" far diminuire questo costo, quali agevolazioni
tariffarie si possano introdurre senza far saltare i conti degli operatori. Una
possibilità, peraltro di effetto limitato, è quella di introdurre una tariffa
irrisoria (per esempio, uno scatto ogni mezz'ora) nelle ore notturne, quando le
reti di telecomunicazioni e le macchine dei provider lavorano pochissimo. Ma,
attenzione: per "ore notturne" si devono intendere quelle tra l'una e
le sette del mattino, perché tutti sappiamo quale congestione si verifica tra
le ventidue e l'una.
Una soluzione efficace si potrà trovare tra
qualche tempo, se il mercato si evolverà verso la direzione che oggi appare
più probabile: una larga diffusione degli abbonamenti gratuiti, offerti dagli
operatori di comunicazioni o dai fornitori di servizi, abbonamenti finanziati
con l'interconnessione o con la tariffa a tempo (nel caso che il fornitore di
accesso sia contemporaneamente il fornitore del servizio telefonico). In ogni
caso si deve tener presente che con la concorrenza anche sul mercato della
telefonia urbana, la relativa tariffa è destinata a diminuire, e che la formula
"tutto compreso" (telefono + internet) potrebbe essere modulata in
modo di favorire i collegamenti nelle ore di minor traffico.
E' uno scenario complesso, che esamineremo meglio in un prossimo articolo.
Il pollo da spennare
O la vacca da mungere, scegliete il paragone che più vi piace, per
indicare una realtà che ormai non può essere ignorata. L'abbonato
all'internet, secondo le previsioni più accreditate, è una miniera d'oro per
il fornitore, perché "naviga" e quindi vede la pubblicità, e quindi
compera. E siccome pubblicità e percentuali sulle vendite, nell'attuale
prospettiva dei provider, costituiscono la vera fonte di guadagni del futuro,
ecco la gara a fornire gratis almeno l'abbonamento "base" e
raccogliere il maggior numero possibile di utenti da convogliare verso il
proprio "portale" (qui si potrebbe introdurre il paragone del gregge
di pecore)...
Che cosa si intende per "abbonamento
base"? Date un'occhiata all'offerta Libero
di Infostrada, che è gratis, e alle proposte di professionali,
sempre di Infostrada, che invece si pagano: le differenze sono molte, sia nei
servizi, sia nella qualità promessa.
Ma il problema non è solo questo, perché nel contratto free internet
c'è la previsione di un uso intensivo dei dati personali del cliente a fini di
marketing, compresa la verifica della lettura di almeno quattro messaggi
pubblicitari al mese.
Lo sfruttamento economico dei dati di un individuo, se lui è d'accordo, non è
illegale, purché ci sia il suo "consenso informato" e comunque entro
precisi limiti. Invece nelle clausole proposte da Infostrada questi limiti non
sembrano ben definiti, tanto che ALCEI
ha inviato una segnalazione
al Garante.
In sostanza l'alternativa che si offre
all'aspirante abbonato è questa: o paghi in moneta, o paghi con i tuoi dati
personali, che valgono altrettanto, se non di più. Così va il mondo: il ricchi
possono proteggere la propria vita privata, i poveri no. Ma c'è un risvolto che
sembra una vendetta: in questo modo i mercanti della rete ottengono le
informazioni sui poveri e non quelle, per loro molto più interessanti, sui
ricchi...
E' probabile che questa "disinvoltura" abbia vita breve e che gli
operatori siano richiamati al rispetto della legge: qui si misurerà la
capacità del Garante di incidere proprio sui comportamenti più pericolosi per
la riservatezza delle persone, almeno quando non è difficile identificare i
responsabili dei possibili abusi.
Agevolazioni, incentivi...
Così siamo arrivati a una conclusione (provvisoria) dell'analisi dei problemi
che si oppongono alle "agevolazioni" tariffarie per l'uso
dell'internet. "Provvisoria", perché la rapidissima evoluzione del
mercato comporta cambiamenti di scenario, che possono essere radicali, fino
all'eliminazione dei problemi prima della loro soluzione, come dimostra la
questione della parità delle tariffe di accesso.
Invece restano da analizzare le agevolazioni
"vere" (per esempio, per l'acquisto dei computer) e i veri
"incentivi", come quelli che potrebbero essere dati ai fornitori di
contenuti, sulla falsariga dei contributi all'editoria: non si deve dimenticare
che la mancanza di contenuti interessanti è considerata come uno degli ostacoli
più ardui da superare per lo sviluppo dell'internet nel nostro Paese. Ma anche
questo è un punto da esaminare con più calma.
Ora, per completare il quadro, è utile leggere il pezzo di Giancarlo Livraghi, Quali
incentivi per far crescere l'internet in Italia?
e si può riflettere sulle proposte di Giuliano Amato, riportate da la
Repubblica del 19 scorso, che si riassumono nel titolo: "Oggi il
computer, poi il welfare".
Oggi, appunto: se c'è una cosa sulla quale sono
tutti d'accordo, è che bisogna fare presto.
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