Da fonte affidabile giunge una notizia che che fa drizzare i capelli in testa: qualche questura imporrebbe agli
operatori che richiedono l'autorizzazione di polizia ai sensi dell'art.
7 del decreto antiterrorismo (il cosiddetto "Pisanu") l'esibizione della
"autorizzazione amministrativa" ai sensi del decreto legislativo 103/95.
E' un abuso, una richiesta illegittima che, fra l'altro, rivela una
inaccettabile ignoranza delle leggi dello Stato. Vediamo perché.
I nostri più affezionati lettori ricordano le perplessità e le discussioni
che sorsero dieci anni fa nell'interpretazione del DLgv
17 marzo 1995, N. 103 e del suo regolamento applicativo, il DPCM
4 settembre 1995, n. 420. Con questi provvedimenti si attuavano - al
contrario! - le precedenti direttive comunitarie sulla liberalizzazione
dei servizi di telecomunicazioni e si prevedeva un doppio regime per i fornitori
di servizi internet: quelli che offrivano servizi su linee dedicate erano
soggetti alla richiesta di un'autorizzazione (ministeriale, non di polizia...),
mentre quelli che offrivano solo servizi su linea commutata dovevano inviare una
semplice dichiarazione, sempre al ministero che allora si chiamava "delle
poste e telecomunicazioni".
Le norme erano scritte così male che in un primo tempo non fu nemmeno chiaro
se esse dovessero applicarsi anche ai fornitori di accesso all'internet. Poi
sorse un altro problema: la polizia postale pretendeva l'autorizzazione anche da
chi forniva l'accesso solo su linee commutate, perché costoro utilizzavano (ma
a monte dell'offerta) una linea dedicata. Con il solito, triste corollario di
sequestri e sanzioni, tanto che gli articoli sull'argomento richiesero
un'apposita sezione di questa rivista.
La storia finì quando una sentenza del tribunale
di Udine del 25
febbraio 2000 chiarì definitivamente la
questione, riprendendo quasi letteralmente le argomentazioni che erano state
pubblicate su queste pagine (vedi Il Pretore: niente autorizzazione per le
linee dei POP di Letizia Bravin).
Con il DPR 318/97 (che attuava una serie di disposizioni
comunitarie), fu introdotto per tutti i fornitori di servizi di
telecomunicazioni il regime delle "autorizzazioni generali", da
ottenersi con una semplice richiesta all'AGCOM. Con la pubblicazione delle
relative condizioni, avvenuta con la Delibera n.
467/00/CONS della stessa AGCOM, il famigerato DLgv 103/95 fu
abrogato, come previsto dall'art. 6, c. 30,
del DPR 318/97.
Dunque la richiesta di esibizione dell'autorizzazione ai
sensi del DLgv 103/95 ai soggetti che chiedono l'autorizzazione di polizia ai
sensi del "decreto Pisanu", prima ancora che illegittima, è campata
in aria.
Ma c'è di più. Anche l'eventuale richiesta "aggiornata" di
attestazione dell'ottenimento dell'autorizzazione generale ai sensi del DPR
513/97 è fuori luogo, perché i soggetti obbligati alla richiesta
dell'autorizzazione di polizia non sono "fornitori di servizi di
telecomunicazioni" (soggetti all'autorizzazione generale), ma "esercizi
pubblici di telefonia e internet" (e assimilati), come è chiaramente
indicato dall'art. 7 del "Pisanu".
Insomma, la storia si ripete. Le autorità di polizia
continuano a "tenere il fiato sul collo" degli operatori
dell'internet, come se la loro attività fosse intrinsecamente pericolosa per
l'ordine pubblico. Viene in mente quello che si legge sulle limitazioni all'uso
della Rete in Paesi poco democratici - in primo luogo la Cina. E alla memoria anche una nota
inviata a suo tempo dal Ministero delle comunicazioni alla Polizia postale
(sempre a proposito del 103/95), in cui era palese l'intenzione di
"schedare" chi forniva l'accesso all'internet in pubblici esercizi
(vedi Il Ministero ordina, la Polizia obbedisce).
(M. C.)
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