Sei azioni collettive (Class Action) intentate negli USA da consumatori
contro Sony BMG, una mobilitazione a livello europeo, l'esposto di ALCEI in
Italia. E non è che l'inizio. Con il sistema di Digital Rights Management (DRM)
chiamato XCP (Extended Copy Protection) Sony BMG l'ha fatta troppo grossa
e ora innesta la retromarcia (per la cronaca e gli aspetti tecnici si vedano gli
articoli di Corrado Giustozzi Sony/BMG, virus, (dis)informazione
e Attenti all’hacker, si chiama Sony/BMG… . e
per una lettura dei reali contenuti della licenza c'è questa
pagina del sito della Electronic Frontier Foundation). Naturalmente la vicenda non finisce qui. I giudici americani dovranno
decidere sulle questioni poste dagli utenti inferociti, e non solo i giudici
americani: anche in Italia c'è un esposto di ALCEI,
la Guardia di finanza sta indagando e potrebbe presentare in breve tempo le sue
conclusioni al magistrato. Ma non tanto è degli aspetti legali che vogliamo
occuparci in questo momento, quanto del contesto generale in cui si colloca la
"questione XCP". Essa infatti è solo un fatto di inusuale rilievo, la punta
dell'iceberg di una situazione molto più vasta e che non riguarda solo i
sistemi di DRM in senso stretto, cioè quei dispositivi che agiscono
sull'hardware e sul software per limitare le operazioni che l'utente legittimo
può compiere con il materiale che ha acquistato a caro prezzo.
Qui si dovrebbe aprire una parentesi su quello che potremmo chiamare "il
paradosso dei DRM": essi infatti pongono limiti - in qualche caso molto
pesanti - all'utente legittimo, ma non preoccupano affatto i veri "pirati
informatici", quelli che copiano abusivamente con fini commerciali e che
sanno come aggirare le protezioni più sofisticate. A meno che non siano - come
nel caso di Sony BMG, "troppo sofisticate", tanto che non solo
limitano, ma addirittura danneggiano l'utente onesto e tecnicamente non
abbastanza smaliziato. E anche - lo vedremo tra poco - quando con la scusa della
tutela dei diritti si impongono sostanziali censure.
Il sistema XCP non è il solo che "si impiccia" di che cosa fa
l'utente che inserisce un CD nel computer. Fate una prova con l'universalmente
diffuso Windows Media Player: scollegate il PC dall'internet, inserite un CD nel
lettore e avviate la riproduzione. Vedrete nell'apposita finestra il contenuto
del disco (autore, titolo del pezzo, durata e altro, a seconda delle
informazioni inserite dal produttore). Ora ripetete l'operazione, ma con il
computer on-line: vedrete le stesse informazioni, ma solo se avete consentito al
programma di collegarsi al data base remoto per acquisire le informazioni... che
sono già presenti sul CD! Altrimenti ci sarà solo la lista delle tracce con la
rispettiva durata.
Ma non basta. Perché se ripetete la prova con lo stesso disco e con il computer
scollegato, le informazioni che avete visto la prima volta non ci sono più: da
qualche parte è stata registrata l'informazione che non volete far sapere in
giro che musica vi pace ascoltare. Il vostro cronista ha fatto diverse prove con
CD di diversi editori, sempre con lo stesso risultato.
Ma il problema non è solo quello della protezione del diritto d'autore e dei
"diritti connessi". L'intero sapere è ormai oggetto di sempre più
diffuse azioni di "proprietarizzazione". Pensiamo al gioco del calcio:
un tempo radiocronache e telecronache erano disponibili gratis per tutti; oggi
è necessario pagare, pagare, pagare. Dalla programmazione televisiva "in
chiaro" sono scomparsi i buoni film, anche d'annata. Sono solo sui canali
satellitari a pagamento.
E poi c'è la questione della televisione digitale terrestre. Con diverse e
inconsistenti scuse il governo italiano vuole accelerarne la diffusione, fino ad
imporre in tempi brevissimi lo switch-off, cioè la fine delle
trasmissioni analogiche. Perché?
I reali obiettivi dell'operazione, che se non sarà fermata imporrà agli
utenti costi elevati, sono molti, alcuni poco (o troppo?) chiari. Ma il
principale è probabilmente quello di rendere possibili diverse forme di
controllo dei contenuti, almeno per motivi economici. Un metodo già collaudato
con la TV via satellite: l'unico operatore italiano, Sky, è riuscito a operare
una vera e propria censura preventiva sui canali ricevibili dagli abbonati,
rendendo difficile (e in qualche caso impossibile) la scelta di contenuti
diversi da quelli di suo gradimento. Un comportamento palesemente illegittimo,
indiscutibilmente contrario alla legge italiana e alle norme europee. Ma nessuna
autorità ha mosso un dito, a cominciare da quella che si chiama "per le
garanzie nelle comunicazioni": Garanzie per chi? (vedi Sky: ti sorprende sempre... di
Daniele Coliva e gli articoli precedenti nell'indice
della sezione Attualità). Ma il bello è che tutta l'operazione è stata
giustificata con lo scopo di combattere la pirateria: una filosofia non troppo
dissimile da quella di Sony BMG.
Per restare in Italia, vogliamo parlare della "proprietarizzazione"
delle leggi? Gli italiani non hanno ancora il diritto di trovare sull'internet i
testi vigenti delle leggi (vedi Da dieci anni aspettiamo la Gazzetta on line
e i tanti articoli nella sezione sul Diritto di
accesso). Esse sono di fatto "proprietà" di alcuni editori, che
le distribuiscono a prezzi esorbitanti, mentre in Paesi più... civili la
pubblicazione delle leggi on line è un servizio pubblico.
Nei primi articoli del Codice dell'amministrazione digitale il Ministro
dell'innovazione suona la grancassa sul diritto dei cittadini all'uso delle
tecnologie da parte delle pubbliche amministrazioni. Ma non ha degnato di una
riga di risposta la lettera aperta inviatagli alcuni mesi fa da un gruppo di
giuristi, che lo invitavano ad approfittare della revisione del Codice per
inserire una norma sulla pubblicazione on line dei testi vigenti delle leggi.
L'Unione europea arriva a contestarci la tradizione del prestito gratuito dei
libri da parte delle biblioteche pubbliche. Una direttiva (2003/98/CE), in corso di
recepimento in Italia, pone le premesse per sottoporre a balzelli anche la
diffusione delle informazioni di natura pubblica. Pagare, pagare, pagare, anche
per i contenuti che, per definizione, sono di tutti. Siamo curiosi di vedere se
e come sarà attuata per quanto riguarda il "riuso" dei testi delle
leggi da parte degli editori privati.
Dovremmo parlare anche dei "brevetti sul software", che frenano
sempre più lo sviluppo delle tecnologie. Ne è stata concessa una quantità
impressionante sulle sue sponde dell'Atlantico e si continua a concederli, anche
se la bocciatura di una proposta di direttiva da parte del Parlamento europeo
dovrebbe indurre a qualche riflessione i responsabili degli uffici brevetti. E
tralasciamo le considerazioni sui mille meccanismi che legano il software o i
contenuti a determinate macchine (vedi DRM: l'inaccettabile limitazione dei diritti dell'utente
di Andrea Monti e Proprietà intellettuale, antitrust e
diritti degli utenti di Daniele Coliva).
In questo quadro è chiaro che il DRM di Sony BMG non è un fatto isolato, ma
solo un passo troppo lungo che ha causato uno scivolone. Così questa volta gli
utenti sono insorti e le reazioni sulla Rete hanno imposto lo stop al colosso
multinazionale.
Ma potrebbe essere il primo segno di una rivolta generale. I padroni delle idee
dovranno prima o poi capire che se i vincoli sono troppo stretti, anche il
consumatore più onesto finisce col preferire il mercato illegale o, più
semplicemente, sceglie di non acquistare i prodotti troppo "protetti"
(vedi i messaggi"Mi rifiuto di acquistarla a queste
condizioni"). Non resta che aspettare.
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