In questi giorni sono arrivati a InterLex diversi messaggi che esprimono le
incertezze generate dagli articoli apparsi su Punto informatico a proposito
del presunto valore probatorio, davanti a un giudice, dei messaggi di posta
elettronica. Questo è un esempio:
...da anni seguo con attenzione i dibattiti sulle diverse tematiche
intelligentemente portate avanti da InterLex.
Leggendo la sentenza... non posso fare a meno di condividere con voi le mie perplessità.
Cosa ne pensate?
Mi sembrava di aver capito una serie di cose, ma forse non è così...!?
Frustrante!
Ed ecco il primo errore: il documento dal quale parte la polemica non
è una sentenza, ma un ricorso per decreto ingiuntivo. Cioè l' atto di una parte
(non di un giudice) che in nessun caso può costituire un precedente e che di solito non vale
neanche la pena di commentare.
Infatti, se l'articolo di commento fosse stato inviato a InterLex, sarebbe stato scartato
senza esitazioni, come spesso accade. E non perché esprima opinioni diverse da
quelle che sostiene la rivista, ma in quanto privo di un serio fondamento.
D'altra parte è capitato diverse volte che articoli bocciati dal nostro comitato
scientifico siano stati poi pubblicati da altri, e in particolare da Punto
informatico. Il vasto seguito di cui gode, a buon diritto, il quotidiano
telematico ha determinato lo scatenarsi di quella che abbiamo chiamato "la
polemica sul nulla".
C'è da dire (anzi, da ripetere) che se le norme fossero più chiare e
coerenti non ci sarebbero questi problemi di interpretazione. L'ipotesi che anche un messaggio e-mail
possa costituire una prova valida in giudizio circola da qualche tempo: la nostra prima risposta in merito risale al 2 ottobre dello scorso
anno!
Sul numero della scorsa settimana abbiamo trattato diffusamente il tema e oggi
pubblichiamo una serie di approfondimenti. Qui cerchiamo di mettere a fuoco i
pochi punti essenziali, seguendo il messaggio di un lettore dal quale risultano
con molta chiarezza gli errori di fondo che sono all'origine delle false interpretazioni delle norme. Scrive Francesco Cotroneo da Settimo Torinese (i
neretti sono nostri):
Ho letto con interesse il testo del ricorso al tribunale di
Cuneo ed il vostro relativo articolo "un messaggio e-mail non è prova scritta", su
InterLex, all'indirizzo http://www.interlex.it/docdigit/provascritta.htm.
Ho trovato convincenti le argomentazioni sul fatto che, nel caso in oggetto, userid e password non possono essere considerati come firma elettronica, mancando una evidente associazione al documento.
Però non sono sicuro che la questione sia limitata al tema del nome utente e della password.
E' indubbio che questi sono dei dati in forma elettronica utilizzati come metodo di autenticazione informatica, cioè per identificarne
l'autore. Ma dovrebbe anche essere vero che il testo elettronico che contiene le generalità di una persona (nome e cognome ed eventualmente altre informazioni)
può essere definito come dati in forma elettronica idonei ad identificarne
l'autore. L'unica differenza è il livello di sicurezza rispetto alle possibili falsificazioni.
Ecco il secondo errore, che deriva dall'erronea traduzione
dell'inglese authentication nell'italiano "autenticazione". La authentication
(validazione) dei dati si ottiene solo quando c'è una "connessione
logica", ottenuta con calcoli matematici, tra il testo validato e la
firma che lo valida. I dati in forma elettronica che contengono le generalità
di una persona non sono idonei a "identificare" nessuno. Esempio:
"Io sono Giuseppe Garibaldi". Chi ci crede? Eppure per caricare questa pagina sul server
che ospita InterLex ho dovuto inserire username e password.
Nel primo caso chi falsifica deve appropriarsi di una informazione accessibile (il nome utente) e di una riservata (la password) ed utilizzarle per "falsificare" questo sistema di autenticazione. Nel secondo caso deve invece appropriarsi solo di informazioni accessibili (nome, cognome ed altri eventuali dati) per falsificare il sistema di autenticazione rappresentato dall'indicazione chiara del mittente di una
email.
Terzo errore. L'indicazione chiara del mittente non è un sistema di
"autenticazione": è solo una stringa scritta dal mittente stesso.
Se questo è vero, una email non anonima, che abbia chiare indicazioni del mittente (nome e cognome ed altri dati identificativi inseriti nel corpo del messaggio e nel campo mittente)
dovrebbe, ai sensi della normativa vigente, avere il valore di un documento firmato elettronicamente, con firma non
qualificata, in quanto contiene dati in forma elettronica, questi dati sono chiaramente
allegati ad altri dati elettronici, e sono idonei ad identificare l'utente.
E' ancora il secondo errore. Non basta che i dati siano "allegati".
La norma dice che i dati devono essere allegati o connessi tramite
associazione logica (che si ottiene con una procedura di calcolo) tra la firma e il testo. In ogni caso questa associazione serve, per la firma elettronica non
qualificata, solo a validare il testo, in modo che sia possibile scoprire se è
stato alterato. Solo la firma qualificata (e qui siamo al quarto errore)
consente di identificare l'autore, perché la coppia di chiavi (che non sono
userid e password) è basata su un certificato qualificato.
Il problema sta quindi tutto nella definizione di "metodo di autenticazione informatica".
Cosa significa questo termine in una norma? Esiste un testo che definisce in maniera non ambigua, come dovrebbe essere per ogni termine con valenza giuridica?
Domanda azzeccata! La cosiddetta "autenticazione informatica" è
un'invenzione del legislatore italiano. La
corretta definizione della firma digitale è quella del vecchio DPR 513/97:
"il risultato della procedura informatica (validazione)
basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una
privata, che consente al sottoscrittore tramite la chiave privata e al
destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e
di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un
insieme di documenti informatici".
Il sistema informatico autentica una sequenza di bit, nel senso di attribuirla ad un determinato mittente. Le definizioni più usate sono quindi "metodo per identificare un mittente" oppure "metodo per identificare con certezza un mittente".
Quinto errore. Il sistema informatico non autentica un bel nulla, ma si
limita a riconoscere il codice di un abbonato. L'idea che un sistema informatico
possa "identificare con certezza" un soggetto, è il sesto errore
(vedi Che significa "identificare con
certezza"? di Enrico Maccarone).
Ma la seconda non ha significato, in quanto la "certezza" non esiste. Esistono metodi più o meno sicuri. Io ricevo moltissime email "firmate" elettronicamente, nel senso che so chi me le ha inviate, anzi
sono relativamente certo della loro provenienza, anche se non utilizzano sistemi "sicuri" (propri peraltro della cosiddetta firma elettronica avanzata). Se peraltro così non fosse non capirei i motivi che stanno alla base della distinzione della firma elettronica avanzata e della firma elettronica semplice.
Francesco Cotroneo, come chiunque altro, può essere relativamente
certo della provenienza delle e-mail che riceve, ma un giudice deve essere
ASSOLUTAMENTE CERTO di chi ha sottoscritto un documento, perché deve
emettere una sentenza! Ecco perché le firme elettroniche
che non sono basate su un certificato qualificato possono essere usate in gruppi chiusi, ma non possono
avere valore di prova legale. Inoltre, come a questo punto dovremmo aver dimostrato,
nella e-mail non c'è nemmeno una firma elettronica del livello più basso
immaginabile, perché non c'è nessuna evidenza informatica che abbia
un'associazione logica con il testo, e di conseguenza non ci può essere la
certificazione qualificata dell'appartenenza di una chiave di sottoscrizione...
perché non è stata usata!
Allora sul piano del diritto, con l'attuale legislazione, una e-mail non anonima va considerata come documento provvisto di firma elettronica non qualificata.
Il fatto è, come ci spiega Corrado Giustozzi nell'articolo richiamato qui
sotto, che sull'internet tutte le e-mail sono, di fatto, anonime. Anche se
recano l'indirizzo di un mittente.
(M. C.)
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