I problemi del recepimento della
direttiva 1999/93/CE (1)
di Manlio Cammarata e Enrico Maccarone - 21.09.01
1. A che serve una firma "insicura"?
Il 19 luglio scorso è scaduto il termine per il recepimento della direttiva
1999/93/CE "relativa ad un quadro comunitario per le firme
elettroniche". La legge comunitaria 2000 (n. 422 del 29 dicembre,
pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 20 gennaio 2001) dà al Governo un anno
di tempo per emanare il decreto di recepimento, ed è quindi probabile che esso
veda la luce tra la fine dell'anno e l'inizio del 2001.
Questo ritardo si aggiunge a quello del rinnovo delle "regole
tecniche", che avrebbero dovuto essere emanate entro due anni dalle prime e
cioè entro il 15 aprile scorso. Sia le attuali disposizioni legislative sia
quelle regolamentari dovranno subire alcune modifiche per soddisfare le
prescrizioni comunitarie: marginali per le regole tecniche, abbastanza
rilevanti, su alcuni punti, per quanto riguarda il DPR
455/2000 (che, come si ricorderà, recepisce quasi testualmente il DPR
513/97 sul documento informatico).
Vediamo per sommi capi in quali punti le disposizioni di legge non sono del
tutto coerenti con la direttiva.
Va detto prima di tutto che la normativa comunitaria si propone fini
sostanzialmente diversi da quelli propri della previsione contenuta nella legge
59/97: gli obiettivi dell'iniziativa di Bruxelles sono in primo luogo gli
scambi commerciali all'interno dello Spazio economico europeo e la prestazione
transfrontaliera di servizi di certificazione. Invece il sistema italiano
è nato in primo luogo per assicurare il valore legale dei documenti
scambiati tra le pubbliche amministrazioni nell'ambito della rete unitaria e tra
gli uffici e i cittadini (anche se quest'ultimo obiettivo è ottenuto, in
prospettiva, anche con la carta d'identità elettronica). Fondamento essenziale
della normativa italiana è la validità e rilevanza del documento informatico a
tutti gli effetti di legge, con una impostazione ancora innovativa, dopo cinque
anni dalla sua formulazione: la completa equiparazione (in linea di principio)
tra documento tradizionale e documento informatico.
Il testo della direttiva richiede una lettura molto attenta, perché a prima
vista sembra invalidare alcuni passaggi della nostra normativa; in realtà, come
vedremo tra poco, la situazione è diversa. Il fatto è che l'articolato
riflette la travagliata genesi del testo, anche attraverso qualche incertezza
definitoria, perché nelle prime bozze la firma "sicura" - cioè
certificata da un soggetto qualificato, generata con un dispositivo di firma
ecc. - non era stata presa in considerazione, perché si asseriva che avrebbe
limitato la concorrenza e la circolazione intracomunitaria dei prodotti. Solo
nelle ultime stesure è stata aggiunta la firma "avanzata" o
"sicura", con i quattro allegati
che rispecchiano il sistema italiano.
Vediamo i passaggi sostanziali.
Articolo 2 - Definizioni
Ai fini della presente direttiva, valgono le seguenti definizioni:
1) "firma elettronica", dati in forma elettronica, allegati oppure
connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici ed utilizzata
come metodo di autenticazione;
2) "firma elettronica avanzata", una firma elettronica che soddisfi i
seguenti requisiti:
a. essere connessa in maniera unica al firmatario;
b. essere idonea ad identificare il firmatario;
c. essere creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare il proprio
controllo esclusivo;
d. essere collegata ai dati cui si riferisce in modo da consentire
l'identificazione di ogni successiva modifica di detti dati;
E' chiaro che il paragrafo 2) descrive con precisione il sistema della firma
digitale disegnato dalla normativa italiana. La prima definizione può invece
riferirsi a qualsiasi sistema elettronico di validazione. Possiamo quindi dire
che la firma digitale, così come è stata impostata con il DPR 513/97 e ripresa
tale e quale nel DPR 445/2000, corrisponde alla "firma elettronica
avanzata" prevista dalla direttiva.
Però ci si deve chiedere a che serve un "metodo di autenticazione"
come quello previsto dal paragrafo 1), se il risultato non consente la
connessione univoca con il firmatario, non è generato con mezzi sui quali
lo stesso firmatario non può conservare il proprio esclusivo controllo né, per
finire, consente di capire se i dati sono stati alterati. E' vero che si
potrebbe ipotizzare un sistema che soddisfi solo alcuni dei requisiti, ma è
abbastanza evidente che una firma a cui manchi anche una sola delle tre
caratteristiche essenziali non autentica un bel nulla (si veda, a questo
proposito, anche l'articolo di Ugo Bechini Quando la smart
card diventa un souvenir ).
C'è anche da rilevare una non trascurabile imprecisione nella lettera d):
con la firma digitale "avanzata", non è tecnicamente possibile
"consentire l'identificazione di ogni successiva modifica" dei dati.
In realtà un eventuale risultato negativo della verifica della firma permette
solo di sapere se qualcosa è cambiato nel testo, non "che cosa" è
cambiato, ricostruendo precedenti versioni del testo. Infatti la verifica è
operata dal software di cifratura, decifrando la firma e confrontando il
risultato con il testo ricevuto: le risposte può essere solo "corrisponde,
firma valida" o "non corrisponde, firma non valida" (per maggiori
dettagli vedi Introduzione alla firma digitale, e
in particolare l'articolo I fondamenti della firma
digitale).
Un altro aspetto che deve essere considerato con attenzione è quello relativo
alla "identificazione" del firmatario. Nelle disposizioni sul
documento informatico non c'è scritto da nessuna parte che la firma digitale
serve a identificare la persona che ha generato la firma stessa, tanto che il
secondo comma dell'art. 38 del t.u. (modalità di invio e sottoscrizione delle
istanze) precisa che "Le istanze e le dichiarazioni inviate per via
telematica sono valide se sottoscritte mediante la firma digitale o quando il
sottoscrittore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta
d'identità elettronica". Si esclude quindi esplicitamente
l'identificazione attraverso la firma digitale.
Una prima conseguenza delle previsioni dell'art. 2 della direttiva si trova
nell'articolo successivo, nel quale si precisano le differenze tra i due tipi di
firme. Vediamo i primi quattro paragrafi:
Articolo 3 - Accesso al mercato
1.Gli Stati membri non subordinano ad autorizzazione preventiva la
prestazione di servizi di certificazione.
2. Fatto salvo il paragrafo 1, gli Stati membri possono introdurre o conservare
sistemi di accreditamento facoltativi volti a fornire servizi di certificazione
di livello più elevato. Tutte le condizioni relative a tali sistemi devono
essere obiettive, trasparenti, proporzionate e non discriminatorie. Gli Stati
membri non possono limitare il numero di prestatori di servizi di certificazione
accreditati per motivi che rientrano nell'ambito di applicazione della presente
direttiva.
3. Ciascuno Stato membro provvede affinché venga istituito un sistema
appropriato che consenta la supervisione dei prestatori di servizi di
certificazione stabiliti nel loro territorio e rilasci al pubblico certificati
qualificati.
4. La conformità dei dispositivi per la creazione di una firma sicura ai
requisiti di cui all'allegato III è determinata dai pertinenti organismi
pubblici o privati designati dagli Stati membri. Secondo la procedura di cui
all'articolo 9 la Commissione fissa i criteri in base ai quali gli Stati membri
stabiliscono se un organismo può essere designato.
La conformità ai requisiti di cui all'allegato III accertata dagli organismi di
cui al primo comma è riconosciuta da tutti gli Stati membri.
[.]
Qui si rinvengono tracce evidenti delle prime versioni della direttiva,
perché il primo paragrafo vieta in generale la possibilità di sottoporre ad
autorizzazione preventiva i prestatori di servizi di certificazione, mentre il
secondo prevede "servizi di certificazione di livello più elevato"
come un'eccezione alla regola generale; invece l'art. 2 ha messo sullo stesso
livello la firma elettronica e la firma "avanzata". Con il terzo
paragrafo si rende obbligatoria l'istituzione di un organismo di supervisione
dei certificatori qualificati da parte di ogni Stato membro (in Italia è
l'AIPA), condizione evidentemente necessaria per il reciproco riconoscimento
delle conformità delle procedure e dei dispositivi, come si evince dal
paragrafo successivo.
Va notato che i criteri per la designazione degli organismi di supervisione
saranno stabiliti dalla Commissione.
2. L'identificazione del firmatario
Il punto c) del secondo paragrafo dell'art.
2 della direttiva prescrive che la firma "avanzata" deve essere
"idonea a identificare il firmatario". Nelle disposizioni
italiane sul documento informatico non c'è scritto da nessuna parte che la
firma digitale serve a identificare la persona che ha generato la firma stessa,
tanto che il secondo comma dell'art. 38
del testo unico sulla documentazione amministrativa (modalità di invio e
sottoscrizione delle istanze) precisa che "Le istanze e le dichiarazioni
inviate per via telematica sono valide se sottoscritte mediante la firma
digitale o quando il sottoscrittore è identificato dal sistema informatico con
l'uso della carta d'identità elettronica". Si esclude quindi
esplicitamente l'identificazione attraverso la firma digitale.
E' un punto delicato, con implicazioni non secondarie, che tratteremo a parte
(nel frattempo si veda l'articolo di Paolo Ricchiuto Firma
digitale e antiriciclaggio nell'interpretazione dell'UIC).
Nel prossimo numero vedremo i due punti veramente critici: le disposizioni
sul valore probatorio dei documenti sottoscritti con la firma digitale e i
requisiti dei certificatori accreditati.
|