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 Firma digitale

Non possiamo fare a meno della firma digitale
di Manlio Cammarata - 03.07.03

Scadeva tre giorni fa il termine oltre il quale non sarebbe più stato ammesso l'invio al registro delle imprese degli atti societari in formato cartaceo. E ora si chiede l'ennesima proroga, perché sono ancora poche le società i cui amministratori non dispongono ancora del certificato di firma digitale (facciamo finta di ignorare che, con ogni probabilità, buona parte dei dispositivi di firma finora rilasciati non è nelle mani dei titolari, ma dei loro commercialisti).

Un messaggio "spammatorio" ha superato le difese della casella della redazione. Dice: "1° luglio 2003 - Obbligatoria Smart Card InfoCamere",  prosegue reclamizzando un lettore di smart card "autorizzato InfoCamere" e via di questo passo. Pubblicità ingannevole, forse, perché la legge non prescrive l'impiego della attrezzatura di InfoCamere, ma l'invio di documenti sottoscritti con la firma digitale, e il certificatore delle Camere di commercio è uno dei tanti iscritti nell'elenco pubblico.
Non è il caso di ipotizzare un collegamento tra la società delle Camere di commercio e il mittente della fuorviante pubblicità: forse lo stesso autore del messaggio (e delle pagine web a cui rimanda il link) non ha le idee chiare su che cosa sia la firma digitale.

Niente di strano, se si considera il fatto che nessuno, a sei anni dalla formale introduzione della firma digitale nel nostro ordinamento, ha fatto un'informazione seria sull'argomento. Né i certificatori né il Governo. Il Ministro dell'innovazione, è vero, si dà un gran da fare a promuovere - a parole - il nuovo strumento, ma nemmeno il Palazzo sembra avere le idee chiare sulla questione: poco tempo fa, al tempo dell'allarme per la diffusione della SARS, è stato detto ai quattro venti che la firma digitale può servire per evitare i rischi di contagio. Come se alle aziende che da decenni intrattengono rapporti commerciali con la Cina e tanti altri Paesi manchino gli strumenti per stipulare accordi a distanza. Senza considerare il probabile sconcerto degli interlocutori stranieri nel ricevere, e sentirsi chiedere, documenti firmati digitalmente nel formato ".p7m"...

Idee chiare: ecco un altro fatto illuminante. La newsletter "Notizie dal Governo" del 24 giugno scorso dà notizia della pubblicazione del decreto legislativo 137/03, annunciando "la sostituzione della firma digitale con la firma elettronica qualificata o avanzata per la gran parte delle operazioni online". Tra tante ipotesi interpretative formulate nel tentativo di risolvere il guazzabuglio creato con le disposizioni di recepimento della direttiva europea sulle firme elettroniche, questa mancava. E a rileggere le norme non sembra la più fondata. Ma tant'è.

Però c'è un altro fatto (o un'altra serie di fatti) che induce a un cauto ottimismo: negli ambienti più qualificati, e in generale tra gli addetti ai lavori, incomincia a diffondersi una conoscenza non superficiale della natura e dei problemi delle firme elettroniche. Lo dimostrano i messaggi che giungono a questa rivista, con domande e osservazioni sempre più pertinenti. Lo ha dimostrato il convegno "DAE 2003" sul diritto amministrativo elettronico, che si è svolto a Catania il 27 e 28 giugno scorsi, nel quale la firma digitale si è imposta come tema "trasversale", ben oltre la specifica sessione dei lavori. Tema trattato con cognizione di causa anche negli interventi del pubblico, con critiche feroci all'impianto normativo.

Tale è stato l'interesse sull'argomento che, in chiusura del convegno, si è deciso di proseguire on line la discussione e predisporre un documento da inviare alle competenti autorità. I primi interventi sono su questo stesso numero di InterLex, altri seguiranno nelle prossime settimane (vedi Il rischio di travolgere certezze giuridiche e informatiche di G. Scorza e La firma digitale è ancora equivalente alla sottoscrizione? di G. Rognetta).
A questi si aggiunge Il recepimento della direttiva: in difesa del legislatore di M. Pappalardo, indipendente dalla discussione nata a Catania. Una difesa del nuovo testo del DPR 445/00 che suscita più di una perplessità e che merita quindi una sommaria risposta.

In primo luogo il fatto che il DPR 137/03 non abbia intaccato il testo unico, così come era stato modificato dal DLgv 20/02, non costituisce un fatto positivo: proprio con le disposizioni del gennaio 2002 erano venuti i primi colpi letali all'impianto normativo (comunque non era possibile modificare con il nuovo regolamento le norme introdotte dal precedente decreto legislativo).
In secondo luogo, e la questione è sostanziale, le modifiche apportate l'anno scorso al testo unico nelle disposizioni sul valore probatorio sono andate ben oltre le indicazioni comunitarie: per rendere la normativa italiana coerente con la direttiva sarebbe bastato abrogare la frase "e ha efficacia probatoria ai sensi dell’articolo 2712 del Codice civile" nella versione previgente del primo comma dell'art. 10. Così la valutazione della prova sarebbe pacificamente ritornata nelle mani del giudice.

Su altri punti dello scritto dell'avvocato Pappalardo mi sembra che bastino le osservazioni contenute negli altri interventi, oltre alle cose che ho già scritto in Sparita l'equivalenza tra firma autografa e digitale?. Ma c'è un aspetto interessante che forse non appare a una lettura superficiale: nella valutazione degli equilibrismi giuridici, nella critica alle scelte semantiche, lo stesso difensore sembra poco convinto dell'innocenza del suo assistito. E la condanna appare quindi molto probabile.

Il problema di fondo è nella direttiva, che non riesce a distinguere tra due aspetti ben diversi: quello della firma elettronica (comunque la si voglia chiamare) come equivalente della sottoscrizione autografa e quello degli altri sistemi di validazione, detti impropriamente nel gergo degli addetti "firme leggere": fa di ogni erba un fascio, cercando impossibili "graduazioni" tra fattispecie diverse.
Il legislatore italiano, anziché inserire nell'ordinamento i pochi ritocchi necessari a renderlo compatibile con le disposizioni comunitarie, si è ingegnato a mettere in un unico contenitore tutti gli ingredienti, senza riuscire a fonderli e renderli coerenti.

Ma qualcosa sta cambiando. Tra chi segue i problemi giuridici della società dell'informazione è ormai diffusa la certezza che le firma elettroniche (o comunque i sistemi di validazione dei documenti e di riconoscimento degli interlocutori distanti) sono strumenti indispensabili e destinati a una larga diffusione. Purtroppo le differenze tra gli ordinamenti dei diversi Stati rendono molto difficile l'adozione di regole uniformi e la direttiva europea non aiuta certo a risolvere i problemi: Come si è visto, ne ha creati di nuovi, che vanno affrontati in un'ottica nuova. Avremo occasione di tornare presto su questo punto.

Ma l'importante è che gli aspetti più critici sono finalmente davanti agli occhi di tutti, che è stata avviata una discussione seria. I risultati non potranno mancare. Non possono, non devono mancare: della firma digitale non possiamo fare a meno.