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Le relazioni - 36

Sulla presunzione di utilizzo del dispositivo di firma

di Francesco Ricci* - 23.06.05
 

1. La nuova disciplina relativa all'efficacia probatoria del documento informatico firmato, recuperando il rinvio pieno ed esplicito all'art. 2702 cod. civ., realizza opportunamente il superamento delle tesi secondo le quali la natura dei documenti informatici firmati sarebbe incompatibile con la disciplina delle scritture firmate tradizionali. (anche M. Cammarata, La solita confusione sulla firma digitale, esclude che il documento informatico sia un genus sé stante, che richiederebbe una disciplina particolare, diversa da quella del documento tradizionale). Tale disciplina, infatti, non trova fondamento nella natura del supporto materiale utilizzato per la documentazione o in quella dei segni impressi allo stesso, ma nella funzione probatoria che tali materiali e segni sono idonei a soddisfare.

2. Com'è noto, questa funzione è legata, in primo luogo, alla natura di contrassegno propria della firma apposta sul documento, cioè alla sua essenza di prova critica precostituita nel momento stesso della documentazione, prima ancora che possa sorgere qualsiasi questione in merito alla provenienza del documento. Per mezzo di tale prova, finché esiste il documento, in caso di controversia o anche di semplice di dubbio sulla provenienza del documento è possibile dimostrare criticamente che esso è stato formato dal soggetto indicato. Ciò consente di argomentare che il documento è autentico.
In secondo luogo, la funzione probatoria delle scritture private è legata alla scarsa probabilità che soggetti eventualmente interessati ad una falsificazione riescano ad alterare lo stato originariamente conferito al documento per mezzo dall'attività di documentazione, senza che tale intervento lasci una traccia rilevabile per mezzo di un'ispezione diligente. Ciò rende il documento idoneo a dimostrare ragionevolmente - anche se non inconfutabilmente - che il contenuto che appare al momento dell'ispezione è conforme quello che era stato conferito allo stesso nel momento della sua formazione, cioè consente di argomentare che il documento è genuino.
Da tali considerazioni deriva che, al fine di poter applicare la disciplina tradizionale alle nuove scritture firmate, è sufficiente che:
a) da una parte, si possa conoscere criticamente l'autore della scrittura per mezzo di una prova critica appositamente precostituita già nel momento della creazione del documento;
b) dall'altra, eventuali alterazioni del contenuto originario della scrittura, cioè interventi sul documento successivi al momento della documentazione, lascino una traccia rilevabile per mezzo di un'ispezione diligente.
Invece, non è necessario:
a) né che l'illazione dal segno di firma al suo autore sia basata sulla massima di esperienza secondo la quale non esistono due grafie uguali, come accade nel caso delle firme chirografe;
b) né che le alterazioni del contenuto originario del documento si ricavino dalla rilevazione di cancellature, abrasioni o simili, come accade nel caso delle scritture tradizionali.

3. In questa sede vorremmo limitare l'attenzione alla nota questione del disconoscimento delle scritture elettroniche firmate (si vedano in proposito M. Cammarata, Il disconoscimento della firma tra "diritto" e "fatto", nonché A. Miraglia, Documento informatico e querela di falso: revisione necessaria). A tal fine, è sufficiente considerare solo la prima delle due utilità probatorie indicate, cioè quella relativa alla prova della loro autenticità.
Come si è detto, ai fini dell'applicazione della disciplina tradizionale a qualsiasi scrittura firmata è sufficiente che sia possibile svolgere una deduzione dal segno al suo autore e che tale deduzione sia ragionevolmente affidabile, anche se non addirittura inconfutabile.
A tali condizioni, per conoscere la provenienza delle scritture si può svolgere a ritroso la prova critica precostituita mediante l'apposizione del contrassegno di firma, per risalire, mediante lo strumento della prova per presunzioni, dalla constatazione della presenza e delle caratteristiche del segno di firma alla conoscenza del fatto, altrimenti ignoto, che quel segno è stato apposto per autorità del soggetto indicato, il quale si è reso in tal modo autore del documento firmato.
Tale illazione è sempre possibile ogni volta che l'autore del documento appone sullo stesso un idoneo contrassegno di firma, cioè un segno che non si limita ad indicare la provenienza (valore indicativo della firma), ma che è idoneo a predisporre sin dal momento della documentazione una prova critica di quella provenienza, utilizzabile per tutta la vita futura del documento in ogni caso in cui sorgano dubbi o controversie su tale circostanza (valore probatorio della firma).
Nel caso delle firme chirografe, la funzione di contrassegno è resa possibile dalla caratteristiche obiettive del segno personale di sottoscrizione. Nel caso delle firme elettroniche qualificate, ciò è reso possibile dalle caratteristiche tecniche del dispositivo di firma e del procedimento informatico di cifratura (sottoscrizione) e decifrazione (verificazione) del testo firmato. Tali elementi, infatti - analogamente a quanto accade con gli argomenti di deduzione che costituiscono il fondamento della prova per presunzioni basata sulla comparazione delle scritture - garantiscono ragionevolmente - anche se non inconfutabilmente - il controllo del titolare sull'uso della firma a lui intitolata.
Da tali considerazioni si ricava che, date le sue caratteristiche obiettive, se una firma chirografa risulta compatibile con il campione di comparazione con il quale è stata verificata è molto più probabile che sia autentica, piuttosto che contraffatta. Allo stesso modo, date le caratteristiche obiettive di una firma elettronica qualificata, qualora la verificazione informatica dia esito positivo, è molto più probabile che tale firma sia autentica, piuttosto che contraffatta.

4. In ogni caso, per formulare un giudizio in ordine all'autenticità delle scritture firmate la considerazione dalla sola indicazione di provenienza non è sufficiente, ma è necessario esaminare criticamente il contrassegno di provenienza ad esse apposto, o procurare altri mezzi di prova utili a dimostrare che la scrittura proviene dalla parte che l'ha negata (art. 216 cod. proc. civ. - si veda in proposito G. Buonuomo, Effetti probatori: si torna ai principi del processo civile - 3).
La disciplina delle scritture private, infatti, è basata sulla combinazione tra la considerazione dell'utilità della verifica dei contrassegni di firma ed il ragionevole principio di governo delle liti, secondo il quale è necessario dare prova solo dei fatti controversi, e non di quelli considerati pacifici tra le parti (cfr. art. 112 cod. proc. civ.).
Per tale ragione, l'art. 2702 cod. civ. dispone che la verificazione del contrassegno di firma è necessaria solo se la questione dell'autenticità del documento risulta effettivamente controversa. In caso di riconoscimento della firma, invece, il fatto dell'autenticità si dà per non contestato e, quindi, non deve essere provato: tale è la rilevanza del riconoscimento della sottoscrizione.
A tali condizioni, non appare ragionevole ritenere che il riconoscimento delle firme elettroniche sarebbe irrilevante o superfluo, perché anche nel caso delle firme elettroniche si pone la medesima alternativa che si pone per quelle tradizionale: se l'autenticità del documento è affermata da entrambi i litiganti, essa non deve essere provata. Se invece tale circostanza risulta controversa, non ci si può limitare a considerare il valore indicativo della firma, ma si deve esaminare anche il suo valore probatorio, svolgendo criticamente a ritroso il ragionamento reso possibile dalla sua natura obiettiva di prova critica precostituita.

5. Nel caso delle scritture tradizionali, l'autenticità dell'indicazione di provenienza è riconoscibile criticamente tramite la comparazione della firma con un campione di provenienza certa. Nel caso delle firme elettroniche, tale conoscenza è resa possibile dalla verificazione informatica della firma mediante applicazione della chiave pubblica certificata validamente.
Non è condivisibile, pertanto, la tesi secondo la quale per il disconoscimento delle firme elettroniche prodotte in giudizio sarebbe sempre necessaria la prova dell'abuso del dispositivo di firma. In realtà, infatti, è necessario che l'indicazione contenuta della firma sia innanzi tutto verificata informaticamente, in modo tale da consentire di argomentare per via illativa che il dispositivo di firma che conserva la chiave di sottoscrizione è stato utilizzato da qualcuno. Solo dopo aver compiuto tale verificazione si può applicare la disposizione secondo la quale «l'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria».
Il fatto consistente nell'avvenuto utilizzo del dispositivo di firma da parte di taluno, infatti, non può essere ricavato ragionevolmente dalla mera considerazione del valore indicativo del certificato allegato alla firma. A tal fine, invece, è necessaria la verificazione informatica, ai fini della quale, com'è noto, non è sufficiente applicare la chiave pubblica alla firma da verificare, ma è necessario confrontare i dati riportati nel certificato allegato al documento originariamente ricevuto con quelli aggiornati, che si ricavano consultando l'ultima versione del repertorio di certificati curato dal certificatore.
Tale verificazione deve essere compiuta dal giudice su istanza di colui che ha prodotto il documento in giudizio in base alla disciplina contenuta negli artt. 214 ss. cod. proc. civ. (spec. artt. 216 ss.).

6. Alla luce di tali considerazioni, il rinvio pieno e incondizionato dall'art. 21, secondo comma, c.a.d. all'art. 2702 cod. civ. va interpretato nel senso che la disciplina delle scritture private tradizionali e di quelle elettroniche munite di firma qualificata è la medesima. Infatti:
a) in entrambi i casi la mera produzione del documento in giudizio non consente la formazione di alcuna prova in ordine alla provenienza del documento;
b) tale prova non è necessaria, se l'autenticità del documento risulta non controversa per effetto del riconoscimento compiuto dalla parte contro la quale il documento è prodotto;
c) in caso contrario, non ci si può limitare a prendere atto dell'indicazione offerta dalla firma, ma è necessario verificare la veridicità di tale indicazione;
d) la prova di tale circostanza è a carico di colui ha interesse a far valere il documento, cioè di colui che lo ha prodotto in giudizio, perché egli dispone di una prova critica appositamente precostituita a tale scopo sin dal momento della creazione del documento, cioè il contrassegno di firma;
e) il giudizio di verificazione è regolato dagli artt. 214 ss. cod. proc. civ (spec. artt. 216 ss.).

7. In definitiva, qualsiasi firma consiste in una indicazione di provenienza che ha valore dichiarativo ed è suscettibile di verificazione. Anche la firma elettronica, come quella tradizionale, ha le caratteristiche obiettive di un contrassegno e, per tale ragione, non solo esprime una dichiarazione di provenienza, ma consente di verificare criticamente quella provenienza.
Se si dispone di una scrittura firmata, pertanto, la prova della provenienza del documento non costituisce mai una probatio diabolica, perché una prova critica di tale circostanza è precostituita sin dal momento della sua formazione con l'apposizione di un contrassegno obiettivamente verificabile. Ciò è vero sia nel caso delle scritture tradizionali, sia nel caso delle firme elettroniche.
In entrambe le ipotesi, in caso di disconoscimento, colui che ha interesse a far valere la scritture deve chiedere la verificazione della loro autenticità. A tal fine può fornire qualsiasi prova idonea (art. 216 cod. proc. civ.), ma se ha conservato la disponibilità del documento, egli ha a sua disposizione la prova per presunzioni basata sul contrassegno di firma, e cioè, nel caso delle firme tradizionali, ha quella basata sulla comparazione delle scritture, e, nel caso delle firme elettroniche qualificate, ha quella basata sulla verificazione informatica. Raggiunta tale prova, colui contro il quale la scrittura è prodotta, se ne ha a disposizione, può sempre fornire qualsiasi prova contraria.
La precisazione contenuta nell'art. 21, secondo comma, c.a.d. non sposta tale conclusione, ma contribuisce in maniera decisiva a rassicurare chi teme che la verificazione informatica, pur essendo idonea a dimostrare ragionevolmente che la firma controversa è stata generata usando il dispositivo di firma attribuito al titolare, non sarebbe sufficiente a far presumere anche la riconducibilità di tale utilizzo alla volontà del medesimo (si vedano in proposito P. Ricchiuto, La firma digitale ritrova se stessa. Forse...; L. Neirotti, E' utile la presunzione di utilizzo del dispositivo di firma; nonché ancora G. Buonuomo, Effetti probatori: si torna al principio del processo civile - 3).
Per scongiurare definitivamente tale timore, il legislatore ha avuto cura di precisare che «l'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova contraria».
 

* Avvocato in Roma

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