1. La nuova disciplina relativa all'efficacia probatoria
del documento informatico firmato, recuperando il rinvio pieno ed esplicito all'art.
2702 cod. civ., realizza opportunamente il superamento delle tesi secondo le
quali la natura dei documenti informatici firmati sarebbe incompatibile con la
disciplina delle scritture firmate tradizionali. (anche M. Cammarata, La solita confusione sulla firma digitale,
esclude che il documento informatico sia un genus sé stante, che
richiederebbe una disciplina particolare, diversa da quella del documento
tradizionale). Tale disciplina, infatti, non trova fondamento nella natura del
supporto materiale utilizzato per la documentazione o in quella dei segni
impressi allo stesso, ma nella funzione probatoria che tali materiali e segni
sono idonei a soddisfare.
2. Com'è noto, questa funzione è legata, in primo luogo,
alla natura di contrassegno propria della firma apposta sul documento, cioè
alla sua essenza di prova critica precostituita nel momento stesso della
documentazione, prima ancora che possa sorgere qualsiasi questione in merito
alla provenienza del documento. Per mezzo di tale prova, finché esiste il
documento, in caso di controversia o anche di semplice di dubbio sulla
provenienza del documento è possibile dimostrare criticamente che esso è stato
formato dal soggetto indicato. Ciò consente di argomentare che il documento è
autentico.
In secondo luogo, la funzione probatoria delle scritture private è legata alla
scarsa probabilità che soggetti eventualmente interessati ad una falsificazione
riescano ad alterare lo stato originariamente conferito al documento per mezzo
dall'attività di documentazione, senza che tale intervento lasci una traccia
rilevabile per mezzo di un'ispezione diligente. Ciò rende il documento idoneo
a dimostrare ragionevolmente - anche se non inconfutabilmente - che il contenuto
che appare al momento dell'ispezione è conforme quello che era stato
conferito allo stesso nel momento della sua formazione, cioè consente di
argomentare che il documento è genuino.
Da tali considerazioni deriva che, al fine di poter applicare la disciplina
tradizionale alle nuove scritture firmate, è sufficiente che:
a) da una parte, si possa conoscere criticamente l'autore della scrittura per
mezzo di una prova critica appositamente precostituita già nel momento della
creazione del documento;
b) dall'altra, eventuali alterazioni del contenuto originario della scrittura,
cioè interventi sul documento successivi al momento della documentazione,
lascino una traccia rilevabile per mezzo di un'ispezione diligente.
Invece, non è necessario:
a) né che l'illazione dal segno di firma al suo autore sia basata sulla
massima di esperienza secondo la quale non esistono due grafie uguali, come
accade nel caso delle firme chirografe;
b) né che le alterazioni del contenuto originario del documento si ricavino
dalla rilevazione di cancellature, abrasioni o simili, come accade nel caso
delle scritture tradizionali.
3. In questa sede vorremmo limitare l'attenzione alla nota
questione del disconoscimento delle scritture elettroniche firmate (si vedano in
proposito M. Cammarata, Il disconoscimento della
firma tra "diritto" e "fatto", nonché A. Miraglia,
Documento informatico e querela di falso: revisione necessaria). A tal fine,
è sufficiente considerare solo la prima delle due utilità probatorie indicate,
cioè quella relativa alla prova della loro autenticità.
Come si è detto, ai fini dell'applicazione della disciplina tradizionale a
qualsiasi scrittura firmata è sufficiente che sia possibile svolgere una
deduzione dal segno al suo autore e che tale deduzione sia ragionevolmente
affidabile, anche se non addirittura inconfutabile.
A tali condizioni, per conoscere la provenienza delle scritture si può svolgere
a ritroso la prova critica precostituita mediante l'apposizione del
contrassegno di firma, per risalire, mediante lo strumento della prova per
presunzioni, dalla constatazione della presenza e delle caratteristiche del
segno di firma alla conoscenza del fatto, altrimenti ignoto, che quel segno è
stato apposto per autorità del soggetto indicato, il quale si è reso in tal
modo autore del documento firmato.
Tale illazione è sempre possibile ogni volta che l'autore del documento
appone sullo stesso un idoneo contrassegno di firma, cioè un segno che non si
limita ad indicare la provenienza (valore indicativo della firma), ma che è
idoneo a predisporre sin dal momento della documentazione una prova critica di
quella provenienza, utilizzabile per tutta la vita futura del documento in ogni
caso in cui sorgano dubbi o controversie su tale circostanza (valore probatorio
della firma).
Nel caso delle firme chirografe, la funzione di contrassegno è resa possibile
dalla caratteristiche obiettive del segno personale di sottoscrizione. Nel caso
delle firme elettroniche qualificate, ciò è reso possibile dalle
caratteristiche tecniche del dispositivo di firma e del procedimento informatico
di cifratura (sottoscrizione) e decifrazione (verificazione) del testo firmato.
Tali elementi, infatti - analogamente a quanto accade con gli argomenti di
deduzione che costituiscono il fondamento della prova per presunzioni basata
sulla comparazione delle scritture - garantiscono ragionevolmente - anche se
non inconfutabilmente - il controllo del titolare sull'uso della firma a lui
intitolata.
Da tali considerazioni si ricava che, date le sue caratteristiche obiettive, se
una firma chirografa risulta compatibile con il campione di comparazione con il
quale è stata verificata è molto più probabile che sia autentica, piuttosto
che contraffatta. Allo stesso modo, date le caratteristiche obiettive di una
firma elettronica qualificata, qualora la verificazione informatica dia esito
positivo, è molto più probabile che tale firma sia autentica, piuttosto che
contraffatta.
4. In ogni caso, per formulare un giudizio in ordine all'autenticità
delle scritture firmate la considerazione dalla sola indicazione di provenienza
non è sufficiente, ma è necessario esaminare criticamente il contrassegno di
provenienza ad esse apposto, o procurare altri mezzi di prova utili a dimostrare
che la scrittura proviene dalla parte che l'ha negata (art. 216 cod. proc.
civ. - si veda in proposito G. Buonuomo, Effetti probatori: si torna
ai principi del processo civile - 3).
La disciplina delle scritture private, infatti, è basata sulla combinazione tra
la considerazione dell'utilità della verifica dei contrassegni di firma ed il
ragionevole principio di governo delle liti, secondo il quale è necessario dare
prova solo dei fatti controversi, e non di quelli considerati pacifici tra le
parti (cfr. art. 112 cod. proc. civ.).
Per tale ragione, l'art. 2702 cod. civ. dispone che la verificazione del
contrassegno di firma è necessaria solo se la questione dell'autenticità del
documento risulta effettivamente controversa. In caso di riconoscimento della
firma, invece, il fatto dell'autenticità si dà per non contestato e, quindi,
non deve essere provato: tale è la rilevanza del riconoscimento della
sottoscrizione.
A tali condizioni, non appare ragionevole ritenere che il riconoscimento delle
firme elettroniche sarebbe irrilevante o superfluo, perché anche nel caso delle
firme elettroniche si pone la medesima alternativa che si pone per quelle
tradizionale: se l'autenticità del documento è affermata da entrambi i
litiganti, essa non deve essere provata. Se invece tale circostanza risulta
controversa, non ci si può limitare a considerare il valore indicativo della
firma, ma si deve esaminare anche il suo valore probatorio, svolgendo
criticamente a ritroso il ragionamento reso possibile dalla sua natura obiettiva
di prova critica precostituita.
5. Nel caso delle scritture tradizionali, l'autenticità
dell'indicazione di provenienza è riconoscibile criticamente tramite la
comparazione della firma con un campione di provenienza certa. Nel caso delle
firme elettroniche, tale conoscenza è resa possibile dalla verificazione
informatica della firma mediante applicazione della chiave pubblica certificata
validamente.
Non è condivisibile, pertanto, la tesi secondo la quale per il disconoscimento
delle firme elettroniche prodotte in giudizio sarebbe sempre necessaria la prova
dell'abuso del dispositivo di firma. In realtà, infatti, è necessario che l'indicazione
contenuta della firma sia innanzi tutto verificata informaticamente, in modo
tale da consentire di argomentare per via illativa che il dispositivo di firma
che conserva la chiave di sottoscrizione è stato utilizzato da qualcuno. Solo
dopo aver compiuto tale verificazione si può applicare la disposizione secondo
la quale «l'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al
titolare, salvo che sia data prova contraria».
Il fatto consistente nell'avvenuto utilizzo del dispositivo di firma da parte
di taluno, infatti, non può essere ricavato ragionevolmente dalla mera
considerazione del valore indicativo del certificato allegato alla firma. A tal
fine, invece, è necessaria la verificazione informatica, ai fini della quale,
com'è noto, non è sufficiente applicare la chiave pubblica alla firma da
verificare, ma è necessario confrontare i dati riportati nel certificato
allegato al documento originariamente ricevuto con quelli aggiornati, che si
ricavano consultando l'ultima versione del repertorio di certificati curato
dal certificatore.
Tale verificazione deve essere compiuta dal giudice su istanza di colui che ha
prodotto il documento in giudizio in base alla disciplina contenuta negli artt.
214 ss. cod. proc. civ. (spec. artt. 216 ss.).
6. Alla luce di tali considerazioni, il rinvio pieno e
incondizionato dall'art. 21, secondo comma, c.a.d. all'art. 2702 cod. civ.
va interpretato nel senso che la disciplina delle scritture private tradizionali
e di quelle elettroniche munite di firma qualificata è la medesima. Infatti:
a) in entrambi i casi la mera produzione del documento in giudizio non consente
la formazione di alcuna prova in ordine alla provenienza del documento;
b) tale prova non è necessaria, se l'autenticità del documento risulta non
controversa per effetto del riconoscimento compiuto dalla parte contro la quale
il documento è prodotto;
c) in caso contrario, non ci si può limitare a prendere atto dell'indicazione
offerta dalla firma, ma è necessario verificare la veridicità di tale
indicazione;
d) la prova di tale circostanza è a carico di colui ha interesse a far valere
il documento, cioè di colui che lo ha prodotto in giudizio, perché egli
dispone di una prova critica appositamente precostituita a tale scopo sin dal
momento della creazione del documento, cioè il contrassegno di firma;
e) il giudizio di verificazione è regolato dagli artt. 214 ss. cod. proc. civ
(spec. artt. 216 ss.).
7. In definitiva, qualsiasi firma consiste in una indicazione
di provenienza che ha valore dichiarativo ed è suscettibile di verificazione.
Anche la firma elettronica, come quella tradizionale, ha le caratteristiche
obiettive di un contrassegno e, per tale ragione, non solo esprime una
dichiarazione di provenienza, ma consente di verificare criticamente quella
provenienza.
Se si dispone di una scrittura firmata, pertanto, la prova della provenienza del
documento non costituisce mai una probatio diabolica, perché una prova
critica di tale circostanza è precostituita sin dal momento della sua
formazione con l'apposizione di un contrassegno obiettivamente verificabile.
Ciò è vero sia nel caso delle scritture tradizionali, sia nel caso delle firme
elettroniche.
In entrambe le ipotesi, in caso di disconoscimento, colui che ha interesse a far
valere la scritture deve chiedere la verificazione della loro autenticità. A
tal fine può fornire qualsiasi prova idonea (art. 216 cod. proc. civ.), ma se
ha conservato la disponibilità del documento, egli ha a sua disposizione la
prova per presunzioni basata sul contrassegno di firma, e cioè, nel caso delle
firme tradizionali, ha quella basata sulla comparazione delle scritture, e, nel
caso delle firme elettroniche qualificate, ha quella basata sulla verificazione
informatica. Raggiunta tale prova, colui contro il quale la scrittura è
prodotta, se ne ha a disposizione, può sempre fornire qualsiasi prova
contraria.
La precisazione contenuta nell'art. 21, secondo comma, c.a.d. non sposta tale
conclusione, ma contribuisce in maniera decisiva a rassicurare chi teme che la
verificazione informatica, pur essendo idonea a dimostrare ragionevolmente che
la firma controversa è stata generata usando il dispositivo di firma attribuito
al titolare, non sarebbe sufficiente a far presumere anche la riconducibilità
di tale utilizzo alla volontà del medesimo (si vedano in proposito P.
Ricchiuto, La firma digitale ritrova se stessa.
Forse...; L. Neirotti, E' utile la presunzione di utilizzo del dispositivo di firma;
nonché ancora G. Buonuomo, Effetti probatori: si torna al principio del
processo civile - 3).
Per scongiurare definitivamente tale timore, il legislatore ha avuto cura di
precisare che «l'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile
al titolare, salvo che sia data prova contraria».
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