I diritti dell’individuo nel cyberspace sono sempre più spesso messi a
dura prova da condotte altrui aventi oggi, quasi tutte, rilevanza penale. L’elenco
di quelle che vengono comunemente definite cyber minacce è vasto e non
suscettibile di riflessioni unitarie, trattandosi di comportamenti che ledono
beni giuridici eterogenei, esprimendo altresì differente pericolosità sociale.
Vi sono reati che colpiscono direttamente il patrimonio (frode informatica,
truffa on line, danneggiamento informatico), la riservatezza nelle sue
diverse declinazioni (illecito trattamento del dato personale, accesso abusivo,
violazione della corrispondenza informatica, intercettazioni telematiche), l’onore
(diffamazione on line), la libertà individuale (cyber stalking, cyber
bullismo, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione on line,
pedofilia telematica) ed addirittura l’intera collettività (cyber
terrorismo, cyber war ).
La risposta normativa è arrivata in ambito europeo con le Raccomandazioni R(89)9 e
R(95)13 e successivamente con la Convenzione
del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica del 23 novembre 2001, che ha fissato
importanti punti fermi sia sul piano del diritto sostanziale che processuale.
In ambito nazionale la gran parte dei reati informatici e gli aggiustamenti
al codice di procedura penale sono stati previsti attraverso le leggi 547/93 e 48/08,
mentre parallelamente vi sono stati interventi mirati per fenomeni specifici
quali la pedofilia, anche telematica (L.269/98,
L. 38/06, L. 172/2012), ed il terrorismo
internazionale, pure quando realizzato nel cyber space (L. 438/2001, L. 43/2015)
Ne esce un quadro in cui il cittadino trova tutela penale rispetto alle
differenti insidie del web, tutela oggi più concreta grazie alla
tipizzazione di importanti mezzi di ricerca della prova ( grazie alla L. 48/08)
quali il sequestro, l’ispezione e la perquisizione informatica, che consentono
agli organi inquirenti di acquisire la cosiddetta digital evidence, al fine di
dimostrare la responsabilità dell’autore di un reato perpetrato attraverso le
tecnologie dell’informazione.
La predisposizione di un adeguato apparato normativo non significa che il
contrasto alla criminalità informatica non trovi ostacoli, rimanendo in piedi
alcuni problemi da risolvere.
In primo luogo, mancano protocolli unitari in ordine all’acquisizione,
conservazione ed analisi degli elementi di prova digitale, il che consente ampi
margini di manovra alla difesa nel corso di un processo, ove è possibile
mettere in dubbio l’affidabilità dell’indagine svolta.
In secondo luogo, trattandosi di reati per loro natura transnazionali, occorre
potenziare la cooperazione da parte delle forze di polizia e dell’autorità
giudiziaria, specie rispetto a Paesi quali la Russia, rispetto ai quali diventa
impossibile avanzare una rogatoria o scambiare informazioni investigative.
Inoltre, occorre probabilmente ripensare al ruolo dei colossi della
comunicazione digitale, i quali non possono più chiamarsi fuori per quello che
accade tramite di essi, anche in considerazione dei loro cospicui profitti, che
consentirebbero l’utilizzo di tecniche di monitoraggio sul materiale veicolato
più efficaci di quelle attuali.
Discorso differente va fatto rispetto alla cyber war,
poiché il recente riconoscimento del cyber space come quinto dominio della conflittualità - dopo terra, mare, aria e spazio - impone
una rilettura delle regole .
Se da un lato ci si accorge che l’applicazione della normativa
internazionale esistente si presta a difficoltà interpretative rispetto a cosa
debba intendersi per cyber arma, cyber operation, ecc., dall’altra,
fatta eccezione per i due Manuali di Tallin ed altri pochi documenti redatti da
esperti, ma non aventi valore giuridico, perché non sottoscritti dagli Stati,
permangono incertezze che devono necessariamente a breve essere colmate.
Al netto delle questioni giuridiche ancora in piedi, non tanto per l’assenza
di norme, quanto per la fisiologica necessità di consolidamenti
giurisprudenziali in grado di mettere punti fermi su ambiti nuovi per il diritto
penale, occorre puntare l’attenzione anche sui doveri dei cittadini digitali e
non solo sui loro diritti.
E’ indubbio, infatti, che molti dei reati che si perpetrano in rete sono
frutto di un’ errata interpretazione del diritto a manifestare liberamente il
proprio pensiero, della quale ci si accorge solo quando tocca a noi e non quando
siamo noi a colpire gli altri. E’ il caso della diffamazione on line ,
fenomeno diffuso e frutto della leggerezza con la quale si esprimono opinioni su
altri. Reati come l’illecito trattamento del dato, truffe e frodi informatiche
sono al pari diffuse anche grazie alla disinvoltura con la quale forniamo le
nostre informazioni ed all’uso inconsapevole delle tecnologie.
Anche reati più gravi quali il cyber stalking e la pornografia
minorile vengono talvolta agevolati dalla poca attenzione con la quale entriamo
in contatto con le persone in rete e dalle informazioni che postiamo per
strappare nei social qualche like. Pensiamo a coloro che inseriscono foto
dei figli a tenera età che vengono poi prese, manipolate e diffuse sotto forma
di pedopornografia virtuale.
Se dietro ogni reato, sovente, c’è una cooperazione inconsapevole della
vittima, è evidente che la norma non può sortire l’efficacia sperata in
assenza di una collaborazione da parte di tutti.
In quest’ottica deve salutarsi con favore la recente legge sul cyber
bullismo, da alcuni criticata, la quale, piuttosto che prevedere sanzioni
penali, mira a responsabilizzare le famiglie e l’ambito scolastico, proprio
nell’idea che certi reati si prevengono più "lavorando sulle
teste", che minacciando pene detentive.
Sempre nell’ottica di un contrasto alla cyber delinquenza,
non fondato esclusivamente su una delega in bianco al legislatore penale, va
letta la nuova impostazione prescelta in ambito europeo attraverso la cosiddetta
"direttiva NIS" (UE 2016/1148), che impone
ai Paesi dell’Unione di prevedere obblighi comuni di sicurezza per gli
operatori di servizi essenziali e per i fornitori di servizi digitali.
In conclusione, se è giusto pretendere tutela dall’ordinamento giuridico,
tutela che allo stato peraltro c’e’, occorre ricordarsi che dietro ogni
diritto vi è in capo a noi un dovere, il cui mancato rispetto ci si rivolge
inevitabilmente contro.
* Avvocato, docente di Informatica giuridica
presso la Luiss Guido Carli di Roma, facoltà di Giurisprudenza
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