1997: LA LEGGE E LA RETE
Interventi e repliche - 50
Per un ripensamento sui "computer crimes"(*)
di Daniele Minotti (avvocato in Genova)

Nell'àmbito del presente Forum, non sono mancati interventi sul diritto penale dell'informatica, in particolare circa la duplicazione abusiva del software.
È facile scorgere due opposti schieramenti riassumibili in due scritti: da un lato quello dell'avv. Coliva, dall'altro quello del dott. Mazza.(1)
Non intendo entrare nel merito dell'operato della p.g. in relazione a perquisizioni e sequestri, legittimi o meno. Parimenti, non affronterò un tema altamente tecnico e delicato come quello riguardante l'interpretazione del codice di procedura penale (o della legge n. 4/29), cosa che è già stata fatta lodevolmente da altri.(2)
È mia intenzione, però, trattare l'argomento ad un livello più generale, sia de iure condito che de iure condendo. A tal fine necessita una breve premessa inquadrativa.
Malauguratamente, i legislatori moderni ritengono che il sistema penale sia il più efficace strumento di prevenzione (sia generale che speciale) contro la "criminalità" (che spesso diviene tale proprio in virtù di un precetto penale, non per sua congenita, intrinseca natura) e di repressione della stessa.
A malincuore, poi, dobbiamo ammettere che tali moderni legislatori - rappresentanti dell'elettorato attivo - hanno tanto ingenuamente creduto nelle promesse non mantenute del sistema penale. E, pertanto, insistono - pur tra ripensamenti depenalizzanti - con l'introdurre sempre nuove fattispecie penali.
Ma la più grande sciagura è sicuramente costituita dal fatto che in tale sistema credono tutti i cittadini (che così lo legittimano formalmente), non soltanto i nostri governanti.
Io, però - ed ecco il succo del mio pensiero - non credo nell'efficacia del diritto penale, anche in relazione a condotte osservabili in àmbito informatico. E, a sostegno della mia tesi, valga quanto di seguito esporrò.
Le promesse del diritto penale sono sostanzialmente due: prevenzione generale e prevenzione speciale.
Non occorrono definizioni accademiche - un linguaggio "giuridichese" o della sociologia giuridico-penale - per riassumere questi concetti. Sono sufficienti poche, semplici parole.
Prevenzione "generale" significa "deterrenza", vale a dire monito per la comunità intera affinché i singoli consociati non compiano fatti dichiarati "reati". "Cittadini! Non violate la legge perché, altrimenti, verrete puniti come criminali".
La prevenzione "speciale" è diretta invece al soggetto che ha già disobbedito alla legge - dunque "reo" - e che, pertanto, dovrà patire la relativa sanzione, cioè la galera o, comunque, l'infamia di una condanna. In tal senso non è azzardato affermare che prevenzione speciale significa "levare di mezzo" il colpevole per un certo periodo di tempo e non importa se per "curarlo" o "retribuirlo". "Cittadino! Hai violato la legge, pertanto ti neutralizziamo".
Chi però, comunque affrancato da pregiudizi ed interessi, abbia occasione di osservare più da vicino un vero procedimento penale, non potrà fare altro che giungere alle seguenti conclusioni:
1) la "criminalizzazione" di una condotta od anche l'inasprimento di sanzioni già esistenti non costituisce un freno efficace alla cosiddetta criminalità. Le condotte "devianti" non si interrompono per l'avvento di una nuova legge. Vengono soltanto e semplicemente punite;
2) la "recidiva" è quasi sempre la regola per i cosiddetti "criminali". Anzi, spesso si deve constatare una certa "specializzazione" (es.: tutti reati contro il patrimonio, contro la persona, ecc. Si parla, allora, di recidiva "specifica" che è più grave di quella "semplice"). L'esperienza giudiziaria mi insegna che è ben difficile trovare un certificato penale macchiato da un solo reato (tranne, forse, che per coloro che si sono resi responsabili di reati lievi, sovente colposi o contravvenzionali, e per chi è agli inizi della propria "carriera").
Insomma: il sistema penale non fa paura a alcuno. I "veri criminali" sanno calcolare vantaggi e svantaggi delle loro azioni. E, tra gli altri, chi obbedisce alla legge non lo fa per il timore della sanzione, ma in ossequio ad un vero sistema socio-educativo che non è certo quello di matrice statale.(3)
In più, mi sembra corretto affermare che il sistema penale non crede più in se stesso. Lo dimostrano i provvedimenti di depenalizzazione che, in sostanza, ridefiniscono continuamente il concetto di "reato", ciò che lo è e ciò che non lo è.
Infine, lo sanno tutti, il sistema penale è al collasso: riti deflativi e/o premiali (es. patteggiamenti, anche "allargati" come proposto di recente) e ricorrenti condoni (fiscali ed edilizi) svelano il fiato corto della Giustizia.
Sicché un dibattito maturo non può prescindere da tali dati obiettivi, anche statisticamente verificabili, nel ridiscutere la strategia da applicare alle condotte indesiderate.
Anzitutto, per i motivi di cui sopra, ritengo sconsigliabile l'introduzione di nuovi reati informatici.
Per ciò che concerne quelli già codificati, è necessaria una riflessione più ampia.
Mi domando il perché dell'atteggiamento apertamente repressivo adottato da SPA e BSA. Mi domando anche quali vantaggi ritengano di ottenere alimentando il fuoco del diritto penale.(4)
Mi risulta difficile credere che l'intento sia meramente persecutorio, il voler vedere a tutti i costi i colpevoli dietro le sbarre di una cella disumana per una vicenda che, a ben vedere, è soltanto "business".
Forse, molto più semplicemente, ritengono doveroso applicare la legge (non importa se con qualche schiaffetto al codice di rito: il fine giustifica i mezzi).
O forse perché, direttamente o per il tramite delle associate, ritengono di doversi garantire il (legittimo) risarcimento dei danni attraverso una costituzione di parte civile (e chissà quanto del rimediato andrà al geniale programmatore dipendente della software house).
Ma non penso che il (pur giusto e sacrosanto) diritto al risarcimento dei danni trovi migliore tutela con l'esercizio dell'azione civile in sede penale.(5)
Ci piaccia o no, il sistema penale non è stato concepito per la tutela delle vittime, bensì per garantire allo Stato il mantenimento del proprio potere(6) con la corrispondente compressione dei diritti del singolo.(7) Dunque, nella reale impossibilità di poterne soltanto immaginare uno diverso (anche per un concreto problema di legittimazione sostanziale), non resta che guardare ad altri strumenti già esistenti.
Ogni critica al sistema dovrebbe contenere una proposta di "contro-sistema". Giusto per non esporsi a critiche reazionarie. Ecco, allora, qualche mio modesto suggerimento.
La medesima domanda risarcitoria può rivolgersi al giudice civile con costi maggiori, parecchie lungaggini (non estranee anche al processo penale), minori strumenti "di forza", ma con la garanzia del medesimo risultato.
Trovo che un'associazione di categoria debba avere due scopi principali: la tutela dei propri associati ed il potenziamento del portato comune. SPA e BSA ritengo desiderino che le associate non siano lese dalla diffusione di copie illegali e che, comunque, i responsabili siano tenuti alla riparazione del danno.
Ma allora, a mio modesto avviso, l'atteggiamento dei portatori di questi interessi particolari diviene opinabile perché la via che propongono non potrebbe aiutarli più di tanto.
Le prevenzioni generale e speciale si attuano meglio - e più civilmente - per il tramite del diritto civile. Il reo, sicuramente se recidivo, conosce bene i punti deboli del diritto penale e sa come approfittarne. Talvolta è anche più scaltro delle potenti software house. Ma patisce maggiormente gli attacchi al proprio patrimonio (a condizione che siano efficaci ed ineludibili).
Tale politica va dunque potenziata. Sia tramite il diritto civile che, eventualmente e se proprio non si riuscisse a fare a meno di "sanzioni", attraverso il diritto amministrativo.(8)
Vi è poi un'altra specifica osservazione riguardo le aziende (in ispecie quando sono persone giuridiche) in possesso di software illegalmente duplicato. Non condivido l'interpretazione estensiva nella nota disputa circa la discrepanza tra legge delega e decreto ("per la commercializzazione" e "a fini commerciali"). Ma ammettiamo, per un solo momento, che tale tesi sia quella corretta. La semplice detenzione di software duplicato da parte di un'"impresa" condurrebbe al penale.
Come è noto, la responsabilità penale è personale. Ne consegue che, nel nostro caso, non sarà l'azienda (con alle spalle un certo patrimonio a garanzia del danno) a pagare, ma forse l'ultimo dei dipendenti (che, magari, ha copiato i programmi per "il bene dell'azienda") con uno stipendio irrisorio rispetto al nocumento patito dalle persone offese.
Soltanto il diritto civile, d'altro canto, permetterebbe di chiamare in causa l'impresa con una forma di responsabilità che, ad esempio, si estenda a quella per fatto altrui o alla culpa in vigilando.
Preso atto di tutto ciò, bisognerebbe allora impegnarsi in un sereno ripensamento circa i nuovi "computer crimes". Si potrebbe meditare se giungere ad una depenalizzazione degli stessi potenziando la tutela civile e amministrativa attraverso l'applicazione di sanzioni (non penali) pecuniarie che ben si adattano a fatti commessi a fine di lucro.
Questa è la via per la migliore tutela delle software house. Preventiva, ma anche più efficace per l'effettivo e successivo risarcimento del danno.
Occorrerebbe, ad ogni modo, affrancarsi da pregiudizi ed interessi. Basterebbe essere un po' più liberi con le proprie idee senza dare nulla per scontato.

(1) Trattasi, rispettivamente, di Perquisizioni e sequestri di materiale informatico e Perquisizioni e sequestri: la GdF ha ragione.
Segnalo comunque una posizione intermedia - o, almeno, che io ritengo tale - espressa dal collega Andrea Monti in
Software pirata: è ricettazione?. Last but not least, merita giusta e doverosa menzione il punto di vista - pur molto repressivo - di un magistrato: Giuseppe Corasanti con Dei delitti e delle pene nella rete: miti e realtà della criminalità informatica in Italia, anche per la sensata proposta volta all'introduzione di una sanatoria analoga a quella prevista per il contrabbando.

(2) Certamente, in uno stato di diritto come il nostro, è difficilmente sostenibile la legittimità di un'operazione di p.g. in tema di reati informatici attraverso l'éscamotage - verosimilmente preordinato - della verifica sugli scontrini fiscali.

(3) Per mia onestà morale - e per non attirarmi le ire del partito dei "dipietristi" - chiarisco incidentalmente che il fallimento del diritto penale non è dovuto all'operato dei magistrati, ma al "sistema" oggettivamente inteso.

(4) Trovo molto pertinente la chiara, disincantata ed assolutamente condivisibile analisi condotta da Bernardo Perrella in No copyright nell'era digitale?. Personalmente, non mi sento di aderire al pur suggestivo grido "No copyright" di stampo cyber-anarchico. Non temo le paventate perdite di posti di lavoro per i dipendenti delle multinazionali del software, ma il pericolo di un'incontrollabile e strumentalizzabile intossicazione ideologica.

(5) Ad esempio, nel caso in cui l'imputato decida di patteggiare e ciò si realizzi, il giudice non potrà pronunciarsi in merito alle richieste risarcitorie della parte civile (liquiderà soltanto spese ed onorari dell'avvocato). Donde l'inevitabile "retrocessione al via" per affrontare l'unica strada possibile: la citazione in sede civile.
Va comunque rammentato che il giudice penale, in riti diversi dal patteggiamento, rimette spesso la liquidazione del danno (il quantum) al giudice civile con gli effetti di cui sopra.

(6) Esercizio di potere che, non a caso, si manifesta nella forma più evidente ed odiosa - e con la complicità della Costituzione - nella deroga, per le leggi penali finanziarie, al principio di retroattività della legge penale favorevole.

(7) Vietare la copia, ad esempio, di un'enciclopedia multimediale limita il diritto alla cultura che cede di fronte al "diritto d'autore" facente capo, in realtà, all'editore più che all'autore vero e proprio. In questo senso, troverei più corretto parlare di tutela del "diritto d'editore" piuttosto che del "diritto d'autore".

(8) Mi sembra attuabile un sistema sanzionatorio regolato dalla legge n. 689/1981 e che potrebbe, ad esempio, essere applicato ai negozianti che vendono software pirata. Tale legge - felicemente e comunemente chiamata "legge della depenalizzazione" - prevede peraltro "organi addetti al controllo" - una sorta di p.g. - sequestri, confische ed altre sanzioni amministrative accessorie. E, soprattutto, nessun carcere.

* Questo scritto vuole essere un modesto tributo all'olandese Louk Hulsman ed ai norvegesi Nils Christie e Thomas Mathiesen, nonché alla loro fondamentale opera a sostegno dell'abolizionismo penale radicale cui mi sono ispirato.

(23.05.97)

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