Si può discutere sul disegno di
legge
di Carlo Piana* - 24.07.02
Finalmente,
grazie anche all'opera di questa rivista, si apre un dibattito
pubblico, aperto e con serie argomentazioni di merito sul mercato del software nella e per la
pubblica amministrazione. Sono molto
favorevolmente impressionato dalla profondità e correttezza,
condite da misura e giudizio, della risposta
del signor Edgar Villanueva Nuñez alle obiezioni della
Microsoft, e vedo confermate le doti argomentative ed il cristallino
vigore della posizione
di Antonio Bernardi, valido alfiere dell'open source nella scuola.
Mi esento dal ripetere cose dagli stessi già dette, alle quali
aderisco in modo pressoché totale.
Pur
condividendo in larga misura alcune obiezioni sollevate da Cammarata
nel suo intervento
a commento della proposta di legge, ritengo che alcuni spunti della
stessa sono preziosi, e che non tutto è da buttare.
Personalmente sarei molto perplesso solamente nel commentare
l'articolo 5, primo comma, che ha una formulazione decisamente
massimalista, mentre il resto mi trova - ove più, ove meno -
d'accordo.
Il trattamento
dei dati personali
La
proposta di legge vorrebbe costringere tutti i responsabili del
trattamento di dati personali ad utilizzare unicamente programmi a
codice aperto, come misura di sicurezza. A parte che le misure minime
di sicurezza sono per legge (art. 15 L.
675/96)
demandate ad una normativa di dettaglio (oggi il DPR
318/99) e
dunque sarebbe un errore sistematico quello di inserire in una
normativa essenzialmente sull'open source in ambito pubblico una norma
destinata a regolare un particolare aspetto di una disciplina per la
quale esiste una legge generale, il discorso è di contenuto.
Semplicemente una norma siffatta sarebbe irrealizzabile (e
probabilmente anticostituzionale, anche se su ciò andrei molto
cauto). Faccio un esempio sulla mia pelle. Io tratto dati personali,
a volte anche sensibili. Essendo avvocato, ho in licenza un programma
di gestione di pratiche legali tra i tanti che sono in commercio, e
che ovviamente tutto è tranne che software libero.
Anche se sarei molto lieto di passare ad una soluzione libera, oggi
come oggi sarei nella situazione di passare alla penna d'oca, perché
non avrei modo di trattare elettronicamente i dati conformemente alla
legge. E' anche vero però che se i produttori di software
fossero "costretti" a rilasciare in open source il proprio
prodotto per aderire alle disposizioni della normativa, il problema
si risolverebbe piuttosto semplicemente. Ed è vero, infine,
che l'adozione di software open source è di per sé
una misura di sicurezza.
Una modesta proposta
Io
affronterei la questione sotto un profilo più sfumato ed
"anglosassone", meno dogmatico e più pragmatico.
Procedendo per obiettivi, vincolerei il Ministero dell'Innovazione a
perseguire attraverso azioni e obiettivi misurabili la finalità
di adottare in misura sempre maggiore software open source
nella P.A., con priorità nelle applicazioni mission
critical o che debbano garantire in modo assoluto
l'accessibilità da parte del maggior numero di utenti (ad
esempio, la piattaforma per l'e-procurement, o quella per le
gare on line negli appalti pubblici), nonché per tutti
i programmi utilizzati per l'accesso ad Internet (vedi il mio
ed altri interventi sui virus informatici in questa stessa
rivista). In modo secondario, ma non certamente da trascurare, la
diffusione del software open source nel mondo della
produttività d'ufficio, partendo dai programmi gestionali fino
alle applicazioni di word processing e simili. Tutto ciò non
solo emanando norme, ma anche e soprattutto diffondendo informazione
e conoscenza (cosa che, devo dire, il Ministero sta facendo in modo
egregio, ma timido, con le linee
guida).
In ciò si
procederebbe secondo un "voluntary scheme" (termine
intraducibile se non con una perifrasi, più o meno “sistema
normativo ad adesione spontanea”), ovvero una direttiva non
vincolante nell'immediato, ma dotata di una sua "moral
suasion" (persuasione morale), grazie anche al fatto che in
difetto di adeguamento, in un termine anche breve, di tutto o di gran
parte del sistema in modo volontario, si interverrebbe con norme
dirigistiche e vincolanti.
Il problema
dell'interoperabilità degli standard e dei linguaggi
Dopo aver
segnalato una grave pecca nella proposta di legge, mi permetto di
segnalare una straordinaria disposizione ivi contenuta, che da sola
meriterebbe tutto il plauso di questo mondo (trattata anche da
Livraghi in “Libertà,
trasparenza e compatibilità: non è solo un problema di software”): l'obbligo, anche per chi utilizza
applicazioni proprietarie, di comunicare con altri (internamente ed
esternamente) solo attraverso formati standard e aperti, che tutti
possano utilizzare appieno senza le limitazioni di linguaggi
proprietari. Già oggi il non utilizzare formati standard per
la diffusione di dati e documenti (e, limitatamente alla pubblica
amministrazione, per la conservazione dei dati) è una cosa al
limite dell'incivile, sicuramente contraria alla netiquette, e
che viene scusata solo fino ad un certo punto dall'incultura
informatica o dalla pigrizia dell'utente (vedi il mio precedente
messaggio "La pigrizia mentale è un costo insostenibile",
nel forum sulla soggezione informatica). Soprattutto se si riflette
sul fatto che l'utilizzo di linguaggi e standard aperti è già
oggi pienamente possibile con veramente un minimo di informazione.
Qui nemmeno la Microsoft
potrebbe con razionalità sostenere che ciò sia un
attacco ai suoi diritti di operatore economico in regime di
concorrenza (?!?), in quanto ciò prescinde dal software
utilizzato (sul perché, però, Microsoft promuova l'uso
di estensioni proprietarie all'HTML, si apre un discorso che
meriterebbe un libro). La stessa Microsoft (cosa che le fa onore,
anche se a pensar male si farà peccato, ma con Redmond si
indovina quasi sempre...) è sponsor dell'utilizzo dell'XML
(vedi il sito del W3C,
o la sezione dedicata nel sito di Microsoft),
oltre ad aver reso i propri prodotti limitatamente
compatibili con tale formato, ritenuto non a caso uno degli
standard del futuro per la sua astrattezza e versatilità,
anche perché costruito
in modo tale da consentire una facile separazione del contenuto dalle
varie forme di presentazione. E forse pochi sanno che, ad esempio, StarOffice
(o il suo clone open source OpenOffice.org)
utilizza proprio l'XML come formato per tutte le sue componenti,
dall'elaboratore testi al foglio elettronico, al programma di
presentazioni. Quei pochi forse non sanno che un documento anche
complesso di MS Word, importato senza incertezze in OpenOffice e
salvato nel formato nativo (ovvero l'XML compresso), occupa una
frazione dello spazio rispetto al documento originale, cosa che,
vista la maggiore astrazione del formato lascia addirittura
sconcertati (almeno me, che non sono un esperto).
Conclusioni
Come è
stato più volte ribadito (ma repetita iuvant),
non si tratta di privilegiare una tecnologia piuttosto che un'altra,
né di privilegiare un produttore piuttosto che un altro, e
nemmeno un modello di produzione di software piuttosto che un
altro. Che sia un community software piuttosto che venga
sviluppato in modo centralizzato, che sia gratis o a pagamento, poco
importa. Quello che importa è che sia scritto bene, indenne
per quanto possibile da vizi, accessibile, interoperabile, documentatamente e documentabilmente sicuro, che non costringa
a matrimoni nei secoli con il produttore; in buona sostanza: buon software. Per coincidenza, le caratteristiche elencate
coincidono quasi sempre con il software open source, mai con
quello “a codice chiuso” (nel quale manca almeno
l'aspetto “documentatamente e documentabilmente”).
Parafrasando le altrui parole, nessuno comprerebbe una macchina con
il cofano saldato o che viaggia solo sulle autostrade del produttore.
O ancora, nessuno scandalo vi sarebbe se la PA decidesse di
acquistare solo veicoli compatibili con la Direttiva “Euro IV”:
i produttori si affretterebbero a produrre ed offrire veicoli
compatibili, non si lamenterebbero certo perché il Governo
discrimina i produttori che hanno scelto di usare tecnologie
inquinanti. La stessa cosa dovrebbe valere anche per i programmi per
computer.
Se è vero che il
formato di MS Word è un segreto industriale dei più
gelosamente custoditi, e che Microsoft si rifiuta assolutamente di
rilasciarne le specifiche, buon per loro, se lo potrebbero anche
tenere, se solo però io cittadino qualunque non fossi
costretto a ricorrere a programmi Windows per leggere un documento MS
Word. E questo magari solo perché un funzionario che deve
pubblicare un documento non sa che oltre al comando “salva”
esiste anche “salva come...”: HTML, RTF (quello
originale, però), Testo semplice, XML o PDF sono ugualmente
utilizzabili e a volte addirittura più confacenti (sul PDF si possono
avanzare riserve, perché è comunque un formato proprietario e rende
difficile il "riuso" dei documenti).
Sarebbe
ancora meglio se io non debba avere per giunta un browser "approvato"
da un bizzarro Web Master che ha deciso che proprio non poteva fare a
meno di quella particolare estensione solo perché gli serviva
per creare nientemeno che... un menu dinamico (in Java, che mi
risulta essere uno standard aperto).
Questo, a mio parere, è
garantire il diritto di accesso, questa è democrazia.
|