L'agenda dei titolari dei trattamenti per i prossimi trenta giorni è così
piena che pochi riusciranno a rispettare tutti gli adempimenti. A parte le
incertezze causate dai ritardi della normativa nazionale, ecco un elenco minimo
delle cose da fare.
1. Il primo adempimento importante, dal quale deriva tutto il resto,
è il registro dei trattamenti previsto dall'art. 30 del Regolamento. Sono esonerate
le organizzazioni e le imprese con meno di 250 dipendenti, ma solo se non
svolgono i trattamenti critici elencati al paragrafo 5 (vedi anche GDPR, articolo 30, comma 5: "dipendenti" o "persone"?
di Andrea Gelpi).
Dalle indicazioni obbligatorie da scrivere nel registro (più altre,
consigliabili) derivano di fatto tutti gli altri adempimenti.
2. Il secondo adempimento inderogabile è la valutazione di impatto
(art. 35), necessaria quando un
trattamento che "prevede in particolare l'uso di nuove tecnologie,
considerati la natura, l'oggetto, il contesto e le finalità del trattamento, può
presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone
fisiche".
Il paragrafo 7 dell'art. 35 presenta un elenco minimo delle informazioni che
devono essere inserite nella valutazione di impatto.
Ma c'è un problema: per i paragrafi 4 e 5, le autorità di controllo
nazionali devono rendere pubblico "un elenco delle
tipologie di trattamenti soggetti al requisito di una valutazione d'impatto
sulla protezione dei dati", nonché "un elenco delle tipologie di
trattamenti per le quali non è richiesta una valutazione d'impatto sulla
protezione dei dati".
Il nostro Garante non ha ancora reso pubblici tali elenchi e quindi l'incertezza
è totale.
3. I registri dei trattamenti e le (eventuali) valutazioni di impatto
costituiscono anche un'utile base di partenza per la predisposizione delle informative
(artt. 12 e seguenti) e quindi del
consenso dell'interessato (art.
7).
Anche qui nel GDPR sono previste limitazioni a livello nazionale (art. 23) e anche qui le indicazioni
ritardano, generando altre incertezze.
4. Un altro adempimento che è consigliabile compiere entro il 25
maggio è la nomina del Responsabile della protezione dei dati (RPD o DPO,
Data Protection Officer), nei casi in cui è prevista (artt. 37 e seguenti).
Del DPO si è parlato anche troppo e tanti si sono affrettati a proporsi per
questo ruolo. Altri hanno improvvisato corsi e improbabili
"certificazioni" (vedi Certificazioni privacy: fermi tutti, aspettiamo il Garante).
Ma sembra che nessuno abbia tenuto conto di un particolare che può rendere
meno appetibile il ruolo di DPO. E' vero che "Il responsabile della
protezione dei dati non è rimosso o penalizzato dal titolare del trattamento o
dal responsabile del trattamento per l'adempimento dei propri compiti" (art. 38), ma è anche vero che
nell'ordinamento italiano c'è la responsabilità civile del professionista, con
tanto di assicurazione obbligatoria. Quindi il titolare (o il responsabile)
potrebbe chiedere al DPO il risarcimento di eventuali danni subiti per causa
sua. E in alcuni casi il conto potrebbe essere salato.
5. E' difficile che chi non ha provveduto in tempo utile possa
risolvere il problema in meno di un mese, ma un altro adempimento, o insieme di
adempimenti, che dovrebbero essere compiuti entro il 25 maggio riguarda la sicurezza
del trattamento (art. 32).
Titolare e responsabile devono "mettere in atto misure tecniche e
organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al
rischi". E "livello adeguato" è qualcosa di molto più
impegnativo delle antiche "misure minime", il cui burocratico rispetto
in molti casi poteva bastare a evitare inconvenienti sanzionatori (vedi anche Cifratura dei dati: utile, necessaria o pericolosa? di
Andrea Gelpi) .
Bastano questi cinque punti a mettere al sicuro i titolari da rilievi e
sanzioni dopo il 25 maggio? Probabilmente no, ma ci sono da mettere in conto i
ritardi delle "autorità competenti" che avevano due anni di tempo per
predisporre un passaggio non traumatico dal vecchio al nuovo regime e non hanno
fatto nulla.
C'è il serio rischio di non avere neanche le norme di aggiornamento del
Codice del 2003 (la delega scade il 21 maggio e sembra che il discusso testo
(vedi Lo
schema del "decreto privacy": non solo
incostituzionale) non sia ancora pervenuto alle Commissioni speciali delle
Camere). Mentre il Garante non ha provveduto a fare chiarezza su molti punti, a
cominciare dalla revisione delle norme di propria competenza (vedi GDPR: dal Garante nemmeno i chiarimenti di base di
Paolo Ricchiuto)
E resta il ritardo europeo nell'approvazione del "Regolamento ePrivacy",
che avrebbe dovuto essere applicabile insieme al Regolamento generale, ma che
non si vede ancora all'orizzonte. Come dire che i trenta giorni che mancano al
25 maggio sono solo l'inizio di una lunga serie di "adeguamenti" che
si concluderà – forse – alla fine dell'anno.
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