Ci risiamo. Fatti di cronaca che coinvolgono ragazzi portano ancora una
volta l'internet - e i telefonini - sulle prime pagine dei giornali. E di nuovo
scatta la gara alle proposte repressive, alla ricerca di una censura tanto più
bieca quanto più inutile, oltre che impossibile. Tristi episodi di bullismo giovanile: un disabile picchiato, una ragazzina
violentata. Ultimi di una serie infinita, della quale è impossibile vedere
l'inizio, perché la violenza giovanile non è un frutto degli anni
dell'internet. La differenza tra il passato e oggi è che i nuovi media mettono
sotto gli occhi di tutti e amplificano l'eco di fatti che un tempo, se
emergevano, restavano confinati nelle pagine di cronaca dei giornali.
Ora, grazie ai nuovi media e all'uso che ne fanno i giovani, emergono fatti e
comportamenti diffusi che suscitano un giustificato allarme (è accaduto anche
per la pedofilia e la pedo-pornografia). Ma che prima restavano nell'ombra:
senza Google il turpe episodio di Torino sarebbe rimasto nell'ombra.
Ma la Procura della Repubblica di Milano fa perquisire la sede di Google Italia
e iscrive nel registro degli indagati i legali rappresentanti del motore di
ricerca, perché attraverso lo spazio messo a disposizione degli utenti è stato
diffuso il terribile video delle violenze sul disabile. L'ipotesi è di
"omesso controllo": Ma è materialmente impossibile controllare tutto
quello che viene messo in Rete, soprattutto su portali di tali dimensioni.
Il magistrato ipotizza l'equiparazione tra il gestore di un sito internet e
il direttore responsabile di un periodico: tesi più che ardita sul
piano giuridico, perché la norma penale non può essere applicata per
analogia in malam partem (cioè a sfavore dell'imputato). Dunque il
reato espressamente previsto a carico di una figura determinata dalle
leggi (quella del direttore responsabile è prevista dalla legge la n. 47
del 1948 e dalla n. 69 del 1963) non può essere ascritto a un soggetto diverso.
Va detto che recentemente una altro giudice ha emanato una sentenza che sembra equiparare
le due figure, ma le sue acrobazie non sembrano convincenti (vedi L’orfana
figura del direttore responsabile di Daniele Minotti).
Altri ragazzi riprendono e si scambiano con i telefonini scene di sesso e di
violenza. Subito i telefonini sono sotto accusa: per il ministro dell'istruzione
Fioroni "C'è da chiedersi perché la gravità del fenomeno a cui stiamo
assistendo, il diffondersi del bullismo, è sempre connesso alla ripresa e alla
messa in circolo". La risposta è semplice, caro ministro: perché i
telefonini sono di uso comune tra i ragazzi; quando non c'erano il bullismo
esisteva lo stesso, ma non
era "ripreso e messo in circolo".
Ancora il ministro Fioroni: "Nel nostro Paese non esiste responsabilità
per coloro che mettono in rete qualsiasi immagine o contenuto sul Web o
internet. Io ritengo invece che dobbiamo apportare modifiche alla normativa
perché l'immissione nella rete di immagini e contenuti possono provocare danni
alla formazione dei nostri ragazzi... Per questa ragione ritengo che si debbano
vietare e sanzionare queste immissioni".
Per la senatrice Maria Burani Procaccini di Forza Italia c'è un vuoto
normativo del quale "certamente si gioveranno anche i signori di Google
sotto inchiesta per le immagini del ragazzo di Torino pestato". E' il caso
di ricordare a Procaccini e Fioroni che la responsabilità dei provider è delimitata
dalla direttiva 2000/31/CE, recepita con il decreto legislativo 70/2003, art.
17, che esclude un obbligo generale di sorveglianza per i fornitori di
servizi telematici.
Dunque è molto difficile che passi la proposta di legge di Procaccini che
prevede "il divieto assoluto ai motori di ricerca ed ai server di divulgare
immagini inviate da infraquattordicenni". Ma leggiamo anche il seguito:
"...con la clausola del permesso genitoriale per quelli inviati da
adolescenti della fascia fra 14 e 17 anni. Le violazioni saranno punite con la
chiusura dei siti e degli interi motori di ricerca, si potrà agire anche
d'ufficio e saranno previste pene pesanti per i trasgressori, con l'inasprimento
delle pene per i minori e per i genitori correi".
Rincalza il ministro Fioroni: "Ritengo che la decisione della procura
(sul caso del disabile picchiato, n.d.r.) sia un motivo in più perché il
Parlamento riveda l'assetto normativo in materia. Come ho più volte sostenuto
non possono esserci due pesi e due misure, uno per carta stampata e tv e uno per
la rete internet. Il rispetto della dignità umana è uno solo. Il principio di
responsabilità non può essere declinato a seconda del mezzo di trasmissione su
cui viaggia un reato".
Anche il ministro dovrebbe ripassare un po' la normativa sulla stampa e
rileggere l'art. 21 della Costituzione. In compagnia del Garante dei dati
personali, che ha impedito una trasmissione televisiva, molto al di là dei
poteri che la legge gli ha assegnato (vedi Il caso
"Le Iene" e la funzione del Garante di Andrea Monti, oltre a Libertà
di informazione e diritto di sapere).
Il Garante ha detto anche che “il caso del video del ragazzo down
pestato in classe effettivamente pone il problema del controllo sui siti
Internet e sui nuovi media per i quali è più difficile intervenire con
provvedimenti interdettivi. Il web è molto ampio e la quantità dei siti si
moltiplica quotidianamente. Spesso, perciò, sono difficili il monitoraggio e
l'intervento tempestivo''. Appunto: il "controllo" sui siti è
praticamente impossibile, sicché i "provvedimenti interdittivi", come
li vorrebbe il professor Pizzetti possono avere il solo effetto di sollevare
polveroni come quelli che vediamo oggi.
Purtroppo si possono solo reprimere gli abusi dopo che si sono verificati, applicando con
la dovuta attenzione le norme del codice penale, quando un fatto è previsto
come reato. E' una realtà difficile da accettare, ma il problema è in una
società violenta, nella continua proposti di modelli comportamentali violenti
(videogiochi compresi), nella scarsa attenzione di molti genitori,
nell'inadeguatezza della scuola.
Su quest'ultimo punto il ministro dell'istruzione dovrebbe avanzare proposte
serie.
Le proposte di censura si moltiplicano, alla faccia della Costituzione e
nell'ignoranza degli aspetti più importanti dei nuovi media. Sembra che nessuno degli
aspiranti censori si renda conto che un divieto di pubblicazione imposto in un
solo Stato, o anche in diversi Stati, non ha alcuna possibilità di rivelarsi
efficace, neanche in luoghi come la Cina, in cui le autorità controllano (o
cercano di controllare) tutto ciò che passa sulla Rete. La natura dell'internet
è tale che i contenuti vietati o oscurati da una parte possono ricomparire da
un'altra e da un'altra ancora. L'internet è incontrollabile e questo la rende
un grande strumento di libertà.
Ma perché non si prende atto di questa realtà? Perché si continua a
immaginare l'internet "come un Far West" invece di cercare di capire
quali sono le sua potenzialità di diffusione della conoscenza e di sviluppo
sociale? Gli anni passano, ma nel Palazzo sono sempre allo stesso punto:
rileggiamo l'articolo Gira e rigira, si finisce sempre
con le proposte di censura del 19 marzo 1998!
Una sola voce si leva in questi giorni contro il delirio censorio e
repressivo: quella del deputato di Rifondazione comunista Maurizio Acerbo, che
sostiene come "La più totale condanna nei confronti degli autori di gesti inaccettabili come
quelli di cui parlano le cronache non giustifica il fatto che, sull'onda
dell'emozione suscitata dall'evento, vengano promosse leggi liberticide".
Il punto è che una cosa sono gli episodi di violenza e un'altra la loro
rappresentazione sui media. Censurare le rappresentazioni non ha alcun effetto
sui fatti rappresentati: il problema è nella società, in una cultura che rende troppo
diffusi certi comportamenti. E in ogni caso il codice penale prevede pene severe
- in qualche
caso anche troppo - sia per i fatti criminosi di cui parliamo sia per la loro rappresentazione
sui mezzi di informazione. Non servono nuove leggi. Il problema è di natura
sociale e questo è il terreno su cui si deve agire.
(Vedi anche Video choc girato ai danni
di un giovane disabile. Una direttiva comunitaria potrebbe salvare Google
di Franco Abruzzo e La violenza giovanile e il “caso
Google”: ennesimo pretesto per invocare censura e repressione di ALCEI)
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