"Chiunque distribuisce... anche
per via telematica": i fornitori sono serviti
di Manlio Cammarata - 18.06.98
"Chiunque, al di fuori delle ipotesi dei commi precedenti, con
qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza
il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga
notizie o messaggi pubblicitari finalizzati all'adescamento o allo sfruttamento
sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a
cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni".
Questo sarà l'articolo 600-ter, comma 3, del codice penale, dopo
che anche la Camera dei Deputati avrà approvato il disegno di legge contro la
pedofilia, nel testo varato il 9 giugno scorso dal Senato. L'inciso
"anche per via telematica" era stato oggetto di forti critiche fin
dalla prima discussione del testo alla Camera, perché del tutto inutile dal
punto di vista giuridico e inutilmente punitivo nei confronti della telematica.
Infatti se il testo dicesse semplicemente "chiunque distribuisce, divulga o
pubblicizza... è punito eccetera", il mezzo telematico sarebbe
automaticamente compreso nella previsione del reato. Ma al Senato la Commissione
speciale in materia di infanzia ha deciso di strafare, aggiungendo un ulteriore
inciso, "con qualsiasi mezzo", che rende ancora più superflua la
precisazione - mantenuta - già contestata nella prima versione. Ed è andata
bene, dovremmo dire, perché alcune proposte di emendamento andavano ancora più
in là, con la previsione dell'uso di Internet come aggravante del reato o
addirittura, di per sé, come reato più grave (Si veda l'articolo di Cristina
Pasquini Per punire i colpevoli si criminalizza la Rete).
Ma a tutti è sfuggito un altro particolare del testo: secondo l'articolo 3 del DDL S2625, il reato di
"pornografia minorile" consiste nello sfruttamento dei minori di
diciotto anni per diversi scopi: le esibizioni o la produzione di materiale
pornografico (primo comma), il commercio dello stesso materiale (secondo comma),
o la sua distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione (terzo comma). Sul
quarto comma, quello che punisce la semplice detenzione, molto è stato detto da
altri e non ci interessa in questa sede.
Ora leggiamo con attenzione le tre ipotesi del terzo comma: chiunque 1)
distribuisce, 2) divulga, 3) pubblicizza. Non ci vuole molto per capire chi
"divulga" o chi "pubblicizza", ma chi è che
"distribuisce" il materiale proibito? Mi sembra che non possano essere
dubbi sul fatto che, nel caso di pubblicazioni cartacee, sia il distributore o l'edicolante,
nel caso di Internet sia il fornitore di accesso.
E con questo si introduce a carico degli Internet provider un reato
specifico: quello di distribuzione di materiale pornografico realizzato
sfruttando minori di diciotto anni. E' una previsione gravissima, che va oltre
le ipotesi di concorso nel reato commesso da altri e addirittura oltre la
proposta del ministro Flick, avanzata al convegno "Internet
e privacy" poco più di un mese fa: Penso ai siti per pedofili,
argomento di cui tanto si parla in questo periodo, in relazione ai quali la
possibilità di ipotizzare una corresponsabilità del gestore, secondo uno
schema di responsabilità per omesso controllo a titolo di colpa, analogo, ad
esempio, a quello in materia di reati a mezzo stampa, potrebbe essere
applicabile in astratto, ma dovrebbe essere verificato alla luce dell'impossibilità
materiale e giuridica, nella maggior parte dei casi, di esercitare questo
controllo anticipatamente o anche in tempo reale.
Troppo poco, per il legislatore, che ha preferito sancire una responsabilità
specifica.
Dal giorno in cui la legge entrerà in vigore (se la Camera, come è
probabile, approverà il testo senza altre modifiche) i provider italiani
avranno la spada di Damocle di un possibile processo per distribuzione di
materiale pedo-pornografico, immesso nei loro server al di fuori di qualsiasi
loro capacità di controllo.
Adesso qualcuno obietterà che non basta un verbo per condannare qualcuno, che l'accusa
dovrà dimostrare il dolo, o almeno la conoscenza del fatto e l'omissione di
un comportamento atto a evitare la prosecuzione del reato.
Mentre nessuno ricorda che c'è una sola responsabilità che può essere
ragionevolmente attribuita al provider: identificare gli abbonati. Non ci potrà
essere legalità sulla Rete fino a quando sarà tollerato l'anonimato
assoluto. Fino a quando chiunque potrà presentarsi come Dino Sauro o Vercingetorige, senza che qualcuno
custodisca (con la dovuta riservatezza) le sue vere generalità, potrà
verificarsi l'assurdo di un colpevole che non può essere perseguito e di un
incolpevole, il provider, che potrà essere condannato.
Ricordiamo ancora il discorso del Ministro di Grazia e giustizia, al convegno
citato: è necessario garantire un controllo sui siti Internet dedicati ad
argomenti particolari, cui acceda un numero aprioristicamente indeterminabile di
fruitori, senza differenziabilità di accessi. Perché si tratta di assicurare l'identificabilità
di coloro che contribuiscono al sito, fornendo la relativa documentazione, in
vista della tutela di taluni soggetti deboli. Penso ad esempio ai minori, penso
a tutte le tematiche che sono particolarmente sentite in Italia, e non solo in
Italia, sul tema del rapporto tra pornografia e sfruttamento dei minori.
Sembra che questo tema non interessi nessuno. Eppure si dovrebbe riflettere
sulle parole di Rodotà: ...arrivare al soggetto che immette in rete
informazioni che possono violare la privacy altrui. Problema delicato perché
incide con la questione dell'anonimato, pone il problema di quali siano gli
obblighi del provider, se deve accertare in ogni caso l'identità di coloro i
quali si servono della rete; come e con quali garanzie di segretezza deve
conservare questa informazione su chi, essendo stato identificato all'ingresso
poi si manifesta in modo anonimo, con un nome di fantasia in rete, e in quali
casi è legittimo superare il segreto, per quali esigenze e in base all'intervento
di chi. Evidentemente una soluzione può essere quella di ritenere che solo con
esplicito provvedimento dell'autorità giudiziaria, e in presenza di rischi
per la privacy o altri tipi di rischi per l'organizzazione sociale, l'anonimato
possa essere superato.
E' un problema, ed è un problema che si ricollega poi alla questione della
responsabilità dei providers...
Sulla quale il presidente del Garante ha lanciato un avvertimento molto
preciso: Se noi facciamo gravare un eccesso di responsabilità sul provider,
sia responsabilità penali che civili, nel senso di farne il responsabile dei
danni arrecati a coloro i quali usano la rete, noi, consapevoli o meno, possiamo
avviare dei processi di censura. Nel senso che se il provider sa che, ammettendo
forme anonime che non potranno essere superate, alcuni soggetti in rete
arrecheranno danni a terzi e sarà poi il provider a doverne rispondere (perché
non potrà essere superata la barriera dell'anonimato), il provider, per ovvie
ragioni di autodifesa, selezionerà in modo molto rigoroso non solo coloro i
quali sono inaffidabili dal punto di vista economico, ma anche quelli che
possono apparire scomodi o pericolosi per le opinioni che esprimono.
I timori di Rodotà sono sul punto di avverarsi. Per scongiurare questa
eventualità occorre un atto normativo che obblighi i fornitori di accessi a
chiedere un documento di identità agli abbonati, o a esercitare altri tipi di
controllo, come quello che può essere fatto sulle carte di credito.
La norma dovrebbe essere accettata con soddisfazione dai provider, perché
darebbe certezza del diritto, ed eviterebbe anche distorsioni della concorrenza
(si veda Così non si va avanti, intervengano le
Autorità e Per la sicurezza della Rete si deve
vietare l'anonimato totale ). Senza considerare che la soluzione dell'anonimato
protetto è stata inserita sia nel Codice
di deontologia e buona condotta dell'ANFoV (che peraltro non ha ancora
richiamato Telecom Italia all'osservanza delle regole che, in quanto membro
dell'associazione, dovrebbe rispettare), sia nella Bozza di codice di autoregolamentazione per
i servizi Internet diffusa più di un anno fa dall'AIIP. Che però, dopo
più di un anno, è ancora una bozza.
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