Se Dino Sauro attacca il
dinosauro
Così non si va avanti, intervengano le
Autorità
di Manlio Cammarata - 28.05.98
Il paragone tra Telecom Italia e un dinosauro non
è poi così azzardato, se si riflette sulle dimensioni dell'impresa e sul fatto
che continua a muoversi sul mercato con l'arroganza del monopolista di un tempo
che dovrebbe ormai appartenere alla preistoria. Come dimostra il fatto dal quale
prende le mosse questo articolo, un fatto all'apparenza del tutto banale.
Un signore si abbona a TIN affermando di chiamarsi Sauro Dino e aggiungendo una
serie di dati anagrafici inventati. L'abbonamento viene attivato senza neanche
l'elementare verifica dell'esistenza del sedicente Sauro Dino, il quale svela la
disinvoltura del provider con alcuni di messaggi inviati a un newsgroup
della stessa TIN (si vedano i
messaggi di Dino Sauro).
In realtà il fatto è gravissimo, perché
coinvolge il delicato problema della responsabilità per i contenuti immessi in
rete. In questo caso l'anonimo si è limitato a un'azione dimostrativa del tutto
innocua, ma avrebbe potuto compiere una serie di reati, dalla diffamazione alla
diffusione di notizie atte a turbare l'ordine pubblico, per non parlare di fatti
ancora più gravi (per restare a un argomento di attualità: diffusione di
immagini pornografiche di contenuto pedofilo). Le forze di polizia avrebbero
avuto serie difficoltà per identificare l'autore degli illeciti.
Tutto questo mentre da più parti si sostiene la
tesi - per molti versi inammissibile, come ripetiamo da tempo - della
responsabilità civile e penale dei fornitori di accessi per i contenuti immessi
dagli abbonati. Chiunque consideri il problema con cognizione di causa non può
negare che l'unica responsabilità che può essere attribuita ai provider è
l'identificazione dei nuovi abbonati, attraverso l'esibizione di un documento di
riconoscimento, fermi restando sia la facoltà dell'abbonato di presentarsi
on-line con uno pseudonimo, sia l'obbligo per il provider di mantenere riservata
l'identità reale di chi utilizza il servizio.
D'altra parte, la stessa Telecom Italia richiede l'esibizione di un documento a
chi stipula un abbonamento al telefono: perché non dovrebbe fare la stessa cosa
per gli abbonamenti a Internet? E infatti, fino a poco tempo fa, anche TIN si
preoccupava di identificare i nuovi abbonati.
Che ne pensa l'Autorità anti-trust?
Ma negli ultimi tempi, come si legge nel modulo
di registrazione "in un'ottica di
continuo miglioramento dei servizi offerti, TIN ha modificato la propria
procedura di registrazione degli abbonamenti, prevedendo tra l'altro
l'introduzione della firma elettronica sul contratto di abbonamento. Nel corso
di questa procedura Le verrà presentato il contratto e sarà sufficiente la
semplice accettazione dello stesso per completare gli adempimenti amministrativi
e registrare il Suo abbonamento a Telecom Italia Net". Queste affermazioni
sollevano una serie di obiezioni:
1. la firma elettronica (o meglio, per l'ordinamento italiano, la "firma
digitale") non è ancora giuridicamente valida;
2. nessuna procedura di firma digitale è contenuta nel modulo, quindi non viene
in alcun modo identificato con certezza il sottoscrittore;
3. con questa procedura è molto più rapido abbonarsi a TIN che a qualsiasi
altro provider che richieda l'esibizione di un documento, e questo determina
un'evidente distorsione del mercato.
Quest'ultimo punto dovrebbe suscitare
l'attenzione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche in
vista degli sviluppi futuri. Infatti è noto che Telecom Italia si sta
attrezzando per agire anche come soggetto certificatore delle chiavi pubbliche,
ai sensi dell'articolo
8 del DPR 513/97. Di conseguenza, appena
le norme sulla firma digitale saranno operative, Telecom potrà offrire in un
solo colpo la certificazione e l'abbonamento a TIN, cosa che gli altri provider
non potranno fare. E così si rivela fondato l'allarme lanciato da queste pagine
nel settembre dello scorso anno in Non
serve una banca per le certificazioni,
commentando il terzo comma dello stesso articolo 8, aggiunto dal Governo
all'ultimo momento: ..si toglie la possibilità di svolgere l'attività di
certificazione a quasi tutti gli Internet provider italiani (i soggetti che per
competenza tecnica e strutture possono fare meglio questo lavoro), senza una
ragione accettabile... Non si riesce a capire perché la possibilità di gestire
gli archivi di certificazione debba essere riservata ad aziende di grandissime
dimensioni. Banche, società di assicurazioni e simili in Italia non hanno la
cultura e il know-how richiesti per questo tipo di attività, e potrebbero non
avere interesse a gestire un servizio che non sembra possa generare introiti
rilevanti. Resterebbero quindi i grandi gestori delle reti di telecomunicazioni:
per ora tra questi solo Telecom Italia è un fornitore di servizi Internet, e
quindi ha le strutture e l'organizzazione per svolgere il ruolo di certificatore
delle firme digitali. Ma questo rafforzerebbe ancora la sua posizione nei
confronti degli Internet provider privati, molti dei quali hanno la competenza
tecnica e l'affidabilità richieste dallo schema di regolamento (e dal buon
senso), ma non la dimensione societaria.
Dunque l'Autorità anti-trust dovrebbe occuparsi
anche di questo aspetto, oltre che di molti altri sollevati in un dettagliato
esposto presentato nello scorso mese di febbraio dall'Associazione italiana
Internet provider, del quale non si hanno notizie ufficiali (ma l'elenco è
sempre incompleto: si veda TIN
e ISDN: quando il contatore scatta a vuoto
di Luca Tufarelli, in questo stesso numero).
C'è materia anche per il Garante della
riservatezza
Ma anche il Garante per la protezione dei dati
personali potrebbe aver qualcosa da ridire sul nuovo modulo di registrazione,
che richiede una serie di informazioni che non sono indispensabili per
l'esecuzione del contratto, ma non contiene l'informativa prevista dall'articolo
10, né prevede il consenso reso
obbligatorio dall'articolo
11 della legge 675/96. La difformità dei
moduli di Telecom Italia dalle prescrizioni della legge sulla tutela dei dati
personali non è una novità: si veda Internet
"formula convenienza": che ne pensano i Garanti del mercato e dei dati
personali? Anche su altri documenti, come
le condizioni
per la fornitura del servizio c'è una
nota che non risponde ai requisiti fissati dall'articolo 10.
Ma c'è di più: con l'abolizione del controllo
sull'identità dell'utente Telecom ha ridotto di fatto le misure già esistenti
per la protezione dei dati personali. Come afferma il terzo comma dell'articolo
41 della legge 675/96, le misure
minime di sicurezza di cui all'articolo 15, comma 2, devono essere adottate
entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento ivi
previsto. Fino al decorso di tale termine, i dati personali devono essere
custoditi in maniera tale da evitare un incremento dei rischi di cui
all'articolo 15, comma 1. Che, a sua volta, stabilisce: I dati
personali oggetto di trattamento devono essere custoditi e controllati, anche in
relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, alla natura
dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento, in modo da ridurre
al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i
rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso
non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità
della raccolta.
Dunque quello che TIN compie "nell'ottica di
un continuo miglioramento dei servizi offerti", contravviene a precise
disposizioni di legge. E' troppo chiedere che le competenti Autorità prendano
in considerazione questi fatti?
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