"Tecno-scandali" è la parola giusta per indicare la materia di cui
ci occupiamo in questo articolo. Si tratta di fatti che rientrano nella purtroppo
affollata categoria degli "scandali italiani", che troppo spesso
occupano le pagine dei giornali. I tecno-scandali restano per lo più
sconosciuti, forse perché nella stampa di informazione mancano
giornalisti che se ne occupino, per scelte editoriali o forse solo per
disattenzione. Noi ce ne occupiamo da più di dodici anni. I lettori più
assidui non troveranno niente di nuovo nell'elenco (parziale...) di oggi, ma
ogni tanto può essere utile una panoramica che dia l'idea delle difficoltà che
incontra l'innovazione nel nostro Paese.
Scandalo n. 1: la carta d'identità elettronica
Il 1. agosto scorso il Garante per la protezione dei dati personali ha
espresso "parere favorevole" all'ultima bozza di regolamento sulla
carta d'identità elettronica. Non è il testo del quale abbiamo parlato in
luglio (CIE: un miliardo di euro buttati via?), ma una
nuova versione, corretta soprattutto nelle disposizioni che riguardano la
privacy. E' l'ennesimo draft dell'ennesima modifica a norme emanate per
la prima volta col decreto del Ministro dell'interno del 19 luglio 2000, che
faceva riferimento a un progetto impostato nel 1997, cioè a quello che oggi
appare come un medioevo tecnologico.
Varato col Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 22 ottobre 1999, n. 437, il progetto
aveva suscitato perplessità fin dall'inizio (vedi La
rivoluzione informatica va avanti, l'Italia è pronta?), ma ora definirlo
"obsoleto" è troppo poco.
Non è il caso di ripetere qui i motivi che consigliano, anzi impongono, la
revisione dell'intero sistema (si veda ancora l'articolo
pubblicato in luglio, con i riferimenti a molti altri pubblicati nel corso degli
anni). Basti ricordare che nella passata legislatura l'allora ministro
dell'Innovazione aveva proposto al suo collega dell'Interno di rivedere il
sistema, ricevendo un secco rifiuto (vedi Stanca: ripensiamo la CIE?
Pisanu: no!).
Il problema, oggi come allora, è l'intreccio di interessi che si è creato
intorno al progetto. Sul punto ci sono state anche due interrogazioni
parlamentari, ma non è successo niente.
Non è soltanto l'evoluzione tecnologica a imporre l'azzeramento dell'intero
sistema. Oggi c'è una moltitudine di "carte" che servono
sostanzialmente al riconoscimento del cittadino: oltre alla CIE, ci sono il
passaporto elettronico, la carta sanitaria e la carta nazionale dei servizi (CNS)
nelle sue diverse realizzazioni. Una razionalizzazione è indispensabile.
Ed è indispensabile che questa razionalizzazione sia compiuta sulla base degli
standard internazionali e dell'Unione europea. Non si può continuare a buttare
via soldi per tenere in piedi un progetto "proprietario" quando ci
sono specifiche universalmente riconosciute, che hanno il vantaggio di essere
molto più economiche e semplici da applicare.
Scandalo n. 2: il diritto di accesso alle leggi
Risale al lontano 1995 la prima proposta di accesso telematico alle leggi
(vedi Trasparenza nell'esercizio del potere, diritto alle
informazioni e nuove tecnologie
di Francesco Brugaletta). Nel 1998 l'allora presidente dell'Autorità per
l'informatica nella pubblica amministrazione Guido M. Rey, in una lettera
a questa rivista affermava di condividere la necessità di assicurare
l'effettivo accesso dei cittadini ai documenti della pubblica amministrazione.
Alle parole di Rey seguivano i fatti: nel gennaio del 1999, l'AIPA dava vita
al "Progetto intersettoriale Norme in rete", promosso dal Ministero
della giustizia. Il "Piano di azione per l'e-government" del 2000 al punto
5.1.2 prevedeva un "portale unificato delle norme" sulla base del
progetto Norme in rete. L'art. 107 della
legge 388/2000 (finanziaria per il 2001) stanziava 5 miliardi di lire per
ciascuno degli anni dal 2001 al 2005 per "l'informatizzazione della
normativa vigente". Ma con il DPCM 24 gennaio
2003 il progetto unitario veniva spezzettato, ponendo le premesse per la
dispersione dei finanziamenti in molti rivoli indipendenti quanto inutilmente
costosi.
A che punto siamo? L'ex-AIPA (ora CNIPA) ha coordinato e realizzato una
complessa infrastruttura tecnologica che potrebbe non solo soddisfare il diritto
dei cittadini di conoscere i testi vigenti della normativa (otre che i
"testi storici"), ma che potrebbe essere di grande utilità per il
legislatore nel processo di scrittura delle leggi (si veda Iniziative
in tema di accesso e riordino delle norme di Caterina Lupo sul sito del
CNIPA). Invece tutto quello che abbiamo è il portale Normeinrete,
che non contiene i testi vigenti, ma elenca una moltitudine di siti sui quali si
possono trovare i testi storici, di scarsa utilità per il cittadino.
Dov'è lo scandalo? Oltre alla discutibile distribuzione dei fondi stanziati
dalla legge 388/2000, è nel fatto che l'Istituto Poligrafico e Zecca della
Stato, lo stampatore della Gazzetta ufficiale, continua ad agire come se fosse
il "proprietario" dei testi. Offre on line solo le gazzette uscite
negli ultimi 60 giorni, non sempre complete. E, per di più, in un formato che
non solo non rispetta gli standard di Normeinrete, ma rende molto difficile il
"riuso" dei testi. Per tutto il resto bisogna pagare...
Scandalo n. 3: la firma digitale
264 articoli in undici anni: questi i numeri di InterLex che si ricavano
dall'indice della sezione dedicata alla
firma digitale. Scriverne ancora sembrerebbe superfluo. Ma, parlando di
tecnoscandali italiani, non si può dimenticare che il nostro Paese, dopo essere
stato all'avanguardia nel mondo per la soluzione del problema di adeguare
l'ordinamento giuridico allo sviluppo delle tecnologie, ha lasciato cadere la
materia in un inestricabile marasma normativo (per un breve riassunto vedi
Troppi problemi, ritorniamo
alle origini).
Le conseguenze del caos delle norme si vedono "navigando" tra i
siti della pubblica amministrazione: nonostante le disposizioni sulla
"amministrazione on line" sono pochissimi gli uffici che offrono
realmente ai cittadini la possibilità di usufruire pienamente delle tecnologie
disponibili, secondo le norme del "Codice dell'amministrazione
digitale" del 2005 (ma dimentichiamo che le prime regole in materia risalgono al
1997, con il DPR n. 513!).
Un esempio per tutti: il "Commissariato on line" offe la
possibilità di sporgere denunce via internet, denunce che potrebbero essere
legalmente valide se sottoscritte con firma digitale o se il cittadino è
riconosciuto attraverso la carta d'identità elettronica o la carta nazionale
dei servizi: così dispone l'art. 65 DLGV 82/05.
La norma precisa anche, al comma 2, che "Le istanze e le dichiarazioni inviate o
compilate su sito secondo le modalità previste dal
comma 1 sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con
firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento".
Niente da fare: le
denunce presentate al Commissariato on line si perfezionano "solo
con la sottoscrizione davanti all’Ufficiale di P.G".
Lo Stato smentisce se stesso, emana una norma e poi non la applica. E si
tratta di una delle poche disposizioni chiare e applicabili di tutta la materia
che riguarda i documenti informatici.
Scandalo n. 4: il portale Italia.it
Questo è uno dei pochi tecnoscandali di cui si è parlato, almeno on line.
Vedi l'articolo di Giancarlo Livraghi Povera Italia.it. Non serve aggiungere
altro se non che la cifra sprecata si avvicina probabilmente a cento milioni di
euro. Scandalo n........ L'elenco potrebbe continuare a lungo.
Ma a questo punto ce n'è abbastanza per chiedere che il Parlamento e la Corte
dei Conti si occupino di come nel corso degli anni sia stato speso tanto denaro
pubblico sotto il segno dell'innovazione, con risultati che è riduttivo
definire "modesti".
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