Esattamente dieci anni fa, il 18 settembre 1996, l'Autorità per l'informatica nella pubblica
amministrazione pubblicava sul proprio sito internet un documento intitolato "Atti
e documenti in forma elettronica". Una bozza di disegno di legge che apparve
subito rivoluzionaria, perché sanciva in termini chiari l'equivalenza tra il
documento tradizionale e quello in formato elettronico, purché munito di un
"contrassegno elettronico" o "firma digitale".
Da diversi anni si dibatteva su come attribuire valore legale ai
documenti formati e trasmessi con sistemi informatici. Le discussioni si
trascinavano tra osservazioni e proposte che finivano nel nulla, perché a buona
parte dei giuristi che si arrovellano sul problema mancavano le competenze tecniche per risolvere
i due punti essenziali: garantire l'integrità del documento e la sua attribuzione
a un determinato soggetto.Invece i tecnologi conoscevano da molti anni uno strumento perfettamente
adatto allo scopo: la firma digitale. Una procedura informatica basata sulla
crittografia a chiavi asimmetriche, il cui principio è ormai noto a molti:
cifrando un particolare "riassunto" del documento con una chiave segreta, il firmatario
ne
"sigilla" il contenuto; sicché, decifrando con la corrispondente
chiave pubblica il riassunto stesso, e confrontando il risultato con la firma
apposta sul documento, chiunque può verificare che a) provenga dal titolare
della coppia di chiavi e b) non sia stato alterato dopo
la generazione della firma stessa. Nell'impianto tecnologico, però, manca la certezza
che la chiave segreta corrispondente alla chiave pubblica usata per la verifica sia
nell'effettiva ed esclusiva titolarità del soggetto che appare come firmatario.
Tutti i problemi erano risolti dalla bozza del '96: la firma digitale come strumento di
validazione dei documenti informatici, con una complicata gerarchia di autorità notarili
per certificare l'appartenenza delle coppie di chiavi (non a caso il
testo era stato impostato da due notai esperti di informatica, Enrico Maccarone e Mario
Miccoli).
Trovato in qualche modo a punto il sistema per avere la certezza legale della titolarità delle chiavi, fu possibile formulare
un principio generale di equivalenza del documento informatico alla scrittura
tradizionale. Era una soluzione all'avanguardia nel mondo, perché alcune
esperienze condotte all'estero si limitavano a riconoscere la validità del
documento con firma digitale solo in alcuni ambiti particolari.
La "rivoluzione" trovò presto il suo sbocco normativo: con
il secondo comma dell'art. 15 della legge 15 marzo 1997 N. 59, il legislatore
stabilì che "Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica
amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i
contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e
trasmissione con strumenti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli
effetti di legge". Successivi regolamenti avrebbero determinato i
criteri di applicazione di questa norma, semplice quanto dirompente per la
cultura giuridica dell'epoca (e non solo...).
Il primo dei regolamenti previsti dalla legge 59/97 fu il DPR 10
novembre 1997, n. 513. Stabiliva che la validità e rilevanza del documento
informatico era subordinata alla presenza di una firma digitale, correttamente
definita come "il risultato di una procedura informatica", basata sulla
crittografia a chiave pubblica, che offre la certezza dell'integrità del
contenuto e dell'identità del firmatario di un documento.
Col le "regole tecniche" (DPCM 8
febbraio 1999) si introduceva il "dispositivo di firma", si
dettavano rigorose norme di sicurezza e si precisava il ruolo dei certificatori.
Col senno di poi, è difficile non riconoscere che l'impianto del DPR 513/97 era quasi perfetto: poche le norme
di difficile interpretazione, chiara l'equiparazione del
documento informatico al documento cartaceo. Solo le disposizioni sulla
validità della firma digitale dopo la scadenza del certificato alteravano il
parallelismo tra i due tipi di documenti, con un macchinoso sistema di
apposizione periodica di marche temporali.
Alla fine del '99 l'Unione europea varava la direttiva
1999/93/CE, frutto di complicati compromessi tra civil law e common
law, di insistenze dell'industria e di eccessiva fretta. Un normativa
corretta nella sostanza, ma scritta male, con diverse oscurità e incongruenze. La
traduzione in italiano, piena di errori, la rendeva di interpretazione ancora
più ardua (vedi La formazione del testo della
direttiva sulle firme elettroniche di Pierluigi Ridolfi) . La sua attuazione, con il decreto
legislativo 10/02 e il successivo DPR
137/03, scardinava i delicati meccanismi disegnati tra il '97 e il '99,
provocando incertezze applicative e discussioni interpretative a non finire.
Il "Codice dell'amministrazione digitale" (DLgv
182/05, nato "provvisorio" e modificato con il DLgv
159/06) ha risolto una parte dei problemi e ne ha aperti altri. Non
sto qui a elencare tutti i punti critici del Codice: basti dire che in molti
passaggi si fa confusione tra sistemi di validazione dei dati e sistemi di
validazione dell'identità, tanto che non è chiaro se la "firma
elettronica" appartenga alla prima o alla seconda categoria. La stessa
firma digitale viene definita come un particolare tipo di firma elettronica qualificata,
anche se sul piano tecnico è pacifico che sono la stessa cosa. L'equiparazione
processuale tra documento cartaceo e documento digitale è scomparsa,
nonostante la precisa indicazione della direttiva europea, i limiti della delega
legislativa e le osservazioni del Consiglio di Stato, espresse in particolare
nel parere del 30 gennaio 2006 .
Nonostante tutta questa confusione, l'Italia resta al primo posto per la diffusione
della firma digitale. Almeno sulla carta. Un'indagine del Centro nazionale per l'informatica nella
pubblica amministrazione (qui il comunicato) indica in oltre 2.600.000 i certificati emessi, il 75
per cento dei quali rilasciati a imprenditori. Il CNIPA però non si chiede, o
non dice, quanti di questi dispositivi di firma sono effettivamente nelle mani
dei titolari e quanti sono chiusi nei cassetti dei loro commercialisti (vedi Ha la firma digitale, ma non
lo sa... ) né quanti dipendenti della pubblica amministrazione fanno
effettivamente uso dei certificati distribuiti "a lotti". Ancora,
sarebbe utile sapere quanti titolari sanno a che serve esattamente la firma
digitale e quali possono essere le conseguenze dell'incauto affidamento a terzi
del dispositivo di firma e della password.
Dai numerosi messaggi che arrivano alla redazione di InterLex, la maggior
parte inviati da dipendenti pubblici, si manifesta un quadro poco incoraggiante (vedi La
pubblica amministrazione chiede aiuto). Emergono due aspetti principali: in
tanti non hanno ancora afferrato la sostanza della firma digitale (c'è ancora
chi pensa che una firma autografa digitalizzata sia una firma digitale)
e in molti casi si cerca di usare la firma digitale come la firma autografa,
senza rendersi conto che il passaggio dal documento cartaceo a quello
informatico richiede la "reingegnerizzazione" dei processi.
Un fatto va però salutato con soddisfazione: il CNIPA ha iniziato
l'attività di vigilanza sistematica sui certificatori, prevista
dall'ultima... release del Codice dell'amministrazione digitale in
attuazione di una norma europea (ma già
con le norme precedenti avrebbe potuto svolgere qualche azione di sorveglianza).
Il primo
bollettino va letto con attenzione, perché riserva
qualche sorpresa.
Dieci anni sono passati invano? Certamente no, ma è evidente che la
rivoluzione annunciata nel '96 non ha prodotto gli effetti attesi. Le
stratificazioni normative che hanno seguito il DPR 513/97 hanno creato solo
confusione. E'
necessario ricordare che il documento informatico è indispensabile
per far funzionare la pubblica amministrazione e semplificare i rapporti tra i
privati, ma che il suo impiego su vasta scala richiede, oltre che la
conoscenza dello strumento e la fiducia nel sistema, una struttura di norme
semplici e chiare. Ci sono, in particolare, tre punti essenziali che
richiedono un urgente intervento legislativo:
1. E' necessario rivedere le definizioni del codice dell'amministrazione
digitale per fare chiarezza tra data
authentication e entity authentication (secondo la tecnica e
secondo il dettato
della direttiva europea). Questo comporta anche alcune correzioni nelle parti
del codice che riguardano l'interscambio dei
documenti. Non si possono mettere sullo stesso piano la firma digitale (che
valida dati e identità), la carta d'identità elettronica (che non dà
certezza sull'integrità dei dati) e il fax, che non dà la minima certezza. In
seguito alla sistemazione delle definizioni del codice, si dovranno rivedere
quelle della normativa connessa, in particolare quella fiscale, per eliminare i dubbi che oggi
si verificano nel confronto tra le diverse normativa..
2. Si deve ricostruire l'equivalenza sostanziale e processuale
del documento cartaceo e del documento tradizionale (come nel DPR 513/97). Fra l'altro questa
equivalenza è specificamente richiesta dalla direttiva comunitaria e
costituisce una semplificazione utile per facilitare la diffusione dei nuovi
strumenti.
3. Anche nell'ottica dell'equivalenza tra documento tradizionale e documento
informatico, la firma digitale si deve presumere valida (naturalmente fino a
prova contraria) anche dopo la scadenza del certificato, almeno in presenza di
una marca temporale verificabile. Un pubblico registro dei certificati scaduti
consentirebbe la verifica senza limiti di tempo.
In sostanza, si dovrebbe ritornare alle semplici indicazioni del DPR 513/97,
con le poche aggiunte imposte dalla direttiva 1999/93 e dall'esperienza di
questi anni.
Un'altra felice esperienza di allora dovrebbe essere ripresa: la bozza del '96 e
quella del '97 furono pubblicate dall'AIPA, sollecitando il contributo di tutti
gli esperti. Le risposte furono molto utili. Oggi i testi si elaborano nelle
segrete stanze del Palazzo e guai a chi si permette di dare qualche consiglio
disinteressato. Con i risultati che vediamo.
Chi volesse approfondire le diverse questioni trova un'analisi
sistematica nel mio libro Firme elettroniche - Problemi
normativi del documento informatico, oltre che nei numerosi articoli elencati
nell'indice di questa sezione di InterLex.
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