7. Serve anche al commercio
elettronico?
di Manlio Cammarata e Enrico Maccarone -
16.12.99
7.1. La firma digitale "libera"
Nei primi sei articoli di questa serie abbiamo
considerato gli elementi essenziali del documento informatico, per capire, in
estrema sintesi, come funziona la firma digitale.
A questo punto possiamo allargare l'orizzonte e vedere quali sono le
applicazioni possibili e, soprattutto, quelle realmente utili, della normativa
italiana che discende dall'articolo
15, comma 2, della legge 59/97.
Ma prima è opportuna una ricognizione sulla firma digitale "libera",
quella che chiunque può usare per le sue attività telematiche, ricorrendo ai
software e alle Certification Authority che si trovano in gran numero
sulla rete.
Le applicazioni della crittografia a chiave
asimmetrica e dei "certificati digitali" non comprendono solo la
cifratura e la sottoscrizione dei documenti. Ci sono, pressoché invisibili
all'utente, soluzioni "automatiche" che proteggono le transazioni
commerciali: sono tali i protocolli SET e SSL, ormai di uso comune perché
incorporati nei programmi di navigazione, ci sono diversi sistemi
"proprietari" che sono abitualmente impiegati nelle reti chiuse, come
quelle delle organizzazioni finanziarie.
Un'applicazione molto importante riguarda la
creazione dei cosiddetti "server sicuri", essenziali sia per la
certificazione delle chiavi e l'applicazione del time stamping, sia nel
commercio elettronico. Infatti il sistema più semplice per compiere transazioni
telematiche fraudolente è la "sostituzione di server", paragonabile
alla sostituzione di persona che è alla base di tante truffe tradizionali: chi
compie la transazione è convinto di essere collegato con la propria banca o con
un fornitore di fiducia, invece all'altro capo del filo c'è il computer di un
mascalzone...
Il riconoscimento certo del sistema informatico non è la sola precauzione
necessaria per avere un server sicuro: ci sono anche le procedure di
riconoscimento degli utenti autorizzati all'accesso, i controlli di integrità
delle informazioni, per finire con la cifratura vera e propria di documenti
contenuti in determinate aree del sistema.
Ma tutto questo non riguarda la firma digitale
"all'italiana". Prima di rispondere alla domanda iniziale, se la firma
digitale ai sensi del DPR
513/97 serva anche per il
commercio elettronico, è bene considerare le applicazioni per cui è stata
introdotta e che ne hanno determinato le caratteristiche particolari, che
abbiamo visto nei precedenti articoli.
7.2. Nata per la pubblica amministrazione
Il sistema del documento informatico disegnato
dal DPR 513/97 trae origine dalla necessità di assicurare l'efficacia giuridica
degli atti della pubblica amministrazione scambiati tra gli uffici, e tra gli
uffici e i cittadini, attraverso la rete unitaria della pubblica amministrazione
(RUPA). Non a caso tutta la normativa è opera di un'apposita commissione in
seno all'AIPA e l'intero progetto ha la RUPA come riferimento primario.
"Efficacia giuridica" significa anche operare con riferimento a
certezze giuridiche che, per definizione, devono essere assolute. Invece le
certezze normalmente accettate nel commercio, anche elettronico, sono relative,
perché si ammette un margine di incertezza collegato al rischio di impresa.
Accolto il concetto della firma digitale, fondata
sulla crittografia a chiave pubblica, per certificare l'origine e l'integrità
degli atti amministrativi, l'Autorità per l'informatica ebbe l'intuizione che
gli stessi principi avrebbero avuto riflessi positivi anche nei rapporti tra
Stato e cittadini e tra gli stessi cittadini. Quindi invitò gli estensori del
primo testo (fra i quali anche uno degli autori di queste pagine), a prevedere
sin dall'inizio l'efficacia della firma digitale anche per gli atti tra privati.
Mentre il testo, pubblicato sull'internet per raccogliere critiche e
suggerimenti, veniva perfezionato, la prima "legge Bassanini" per la
riforma della pubblica amministrazione accoglieva il principio proposto
dall'AIPA e stabiliva che "Gli atti, dati e documenti formati dalla
pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i
contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e
trasmissione con strumenti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli
effetti di legge". Il meccanismo applicativo veniva demandato al Governo e
l'originario disegno di legge dell'AIPA si trasformava in uno schema di
regolamento, che sarebbe poi diventato il DPR 513/97.
Questo provvedimento ribadisce la rilevanza e la
validità del documento informatico sia nel settore pubblico, sia in quello
privato, ma opera una distinzione abbastanza precisa tra i due campi di
applicazione.
Per il settore privato equipara il documento informatico a diversi tipi di
scritture contemplati dal codice civile, mentre per quello pubblico stabilisce
che "Gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti
informatici delle pubbliche amministrazioni, costituiscono informazione primaria
ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto,
riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge". La distinzione è
sottile, ma non casuale: mentre per i rapporti privati diviene indifferente, in
linea di principio, la natura cartacea o informatica del documento, nella
pubblica amministrazione la scrittura digitale diviene "il" documento,
applicando e portando alle estreme conseguenze il principio introdotto
dall'articolo 3, comma 1, del decreto
legislativo 38/97 (istitutivo
dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione): "Gli atti
amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma
predisposti tramite i sistemi informativi automatizzati".
Il sistema appare ormai completamente delineato:
al centro c'è la RUPA, sulla quale passeranno i documenti informatici, per la
cui adozione generalizzata occorrono altre norme. Alcune sono già pronte, come
quelle sull'archiviazione ottica e il protocollo informatico, altre sono in
preparazione, fino ad arrivare alla carta d'identità elettronica (si veda l'indice
della normativa connessa alla
firma digitale).
E i rapporti tra i privati? Questi, risponde
l'AIPA, non sono di nostra competenza. Le norme fondamentali ci sono, quelle che
mancano devono essere scritte dal Parlamento o dal Governo. Di fatto la firma
digitale sarà in un primo tempo adottata soprattutto dal sistema bancario e,
tra le categorie professionali, dai notai. Infatti la intranet dei notai
appartiene alla RUPA, è già collegata a molti archivi pubblici e sarà sempre
più interoperante con gli altri soggetti collegati, consentendo le visure, il
deposito telematico degli atti e altri adempimenti che fino a oggi richiedono
carta e sigilli.
7.3. Firma digitale e commercio
elettronico
Il binomio firma digitale-commercio elettronico
è sempre all'ordine del giorno, oggetto di libri, convegni e articoli
giornalistici, ma l'accostamento è improprio sotto diversi punti di vista, se
parliamo della firma digitale ai sensi della normativa italiana.
L'equivoco - perché in fondo si tratta di un equivoco - è nato subito dopo
l'emanazione della legge 59/97, quando sembrava che in Italia che il commercio
elettronico non sarebbe mai decollato. Allora si pensava che l'adozione della
firma digitale per i rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione
avrebbe stimolato anche le transazioni in rete (vedi Una
sola firma per il pubblico e per il privato: la carta vincente?).
Ma un'attenta lettura del DPR 513/97 e soprattutto l'esame delle Regole tecniche
hanno portato a escludere l'utilità della firma digitale
"all'italiana" per il commercio elettronico (vedi Pubblica
amministrazione e commercio elettronico, il futuro non è dietro l'angolo).
Le esigenze di sicurezza del commercio
elettronico - nel business to consumer - si riassumono in due aspetti:
dalla parte del venditore è necessaria la certezza del pagamento, dalla parte
dell'acquirente nell'identificazione del venditore e quindi nella fiducia sulla
sorte delle somme pagate attraverso la carta di credito o le varie forme di
"denaro elettronico".
Per il primo aspetto sono più che sufficienti le normali procedure di
accredito/addebito delle transazioni compiute con la carta: verifica della
validità della carta e dell'esistenza dei fondi, cosa che avviene anche nelle
vendite in negozio. L'appartenenza della carta a un certo soggetto è verificata
in partenza dalla banca che la rilascia e gli acquisti con carte rubate o con
numeri ottenuti fraudolentemente sono percentualmente rari. In ogni caso, se il
venditore compie i dovuti controlli o se si appoggia a un centro di servizi
delegato a compierli, è sicuro dell'incasso.
Dalla parte dell'acquirente la certezza è meno
immediata, perché deve in qualche modo verificare che il venditore esista
veramente. In molti casi è sufficiente il marchio di una ditta nota, in altri
si deve controllare l'esistenza del "server certificato" e quindi
verificare la validità del certificato stesso. Il solo fatto che il venditore
dichiari di adottare un protocollo come SET o SSL tranquillizza l'utente anche
per quanto riguarda l'ipotetica, difficilissima - e mai accertata, fino a questo
momento - intercettazione del numero della carta da parte di un malintenzionato.
Che tutto questo funzioni perfettamente è dimostrato dallo sviluppo attuale del
commercio elettronico anche in Italia, partito con un certo ritardo nei
confronti di altri paesi, ma che sembra intenzionato a recuperare lo svantaggio.
E prima ancora che esista un solo certificatore operante secondo il DPR 513/97.
D'altra parte, anche quando il sistema sarà a
regime, usare la firma digitale per fare acquisti in rete sarà alquanto
oneroso, in termini di tempo e denaro. Bisognerà infatti andare da un
certificatore, dare la certezza della propria identità, procurarsi il
dispositivo di firma, installare il software, generare la coppia di chiavi,
spedire la chiave pubblica al certificatore, attendere il certificato. Tutto
questo per ordinare qualche prodotto o qualche servizio con un documento che ha
il valore di "scrittura privata" ai sensi dell'articolo 2702 del
codice civile.
Avete mai conferito a un ortolano un ordine scritto e firmato per la fornitura
di una dozzina di carciofi?
|