Tra promesse e minacce la Rete
aspetta
di Manlio Cammarata - 17.05.01
Chiuso il capitolo dei programmi elettorali, si
apre quello dei programmi di governo. In teoria, visti i risultati delle
elezioni, non ci dovrebbero essere sorprese. Il problema è che, per la materia
di nostro interesse, i proclami elettorali non contenevano molti elementi
positivi: la new economy, lo sviluppo della società dell'informazione, la
diffusione dell'internet con l'attenuazione del digital divide non hanno
attirato l'attenzione dei politici, con la sola eccezione del CCD (ne parliamo
più avanti).
Vale però la pena di ritornare un momento sulla
questione dei programmi elettorali per richiamare un
passaggio del forum di Rutelli Società
dell'informazione e new economy. "Volevo porle questa domanda -
scriveva in gennaio un giovane - lei sta progettando di utilizzare molto il web
per la sua campagna? Se sì, come credo, la prego di dirmi, con estrema
franchezza, se l'uso è motivato dalla convinzione che questo sia realmente un
forte strumento di propaganda oppure perchè, come si dice per questa nuova
tecnologia, "il mezzo è il messaggio?".
Nella risposta si legge: "La campagna su Internet va fatta, per molti
motivi, tra i quali la raggiungibilità di un pubblico particolare, la
interattività, ed altre caratteristiche. Al momento, sinceramente, non crediamo
che sia un terreno di scontro propagandistico cruciale, sia per i numeri (pochi
utenti in Italia rispetto al totale degli elettori) sia per la caratteristica
del pubblico di Internet (ci sono, come dire, meno incerti da convincere che
altrove) per quello che se ne può dedurre ad oggi".
In queste righe c'è una chiave interpretativa
molto importante per capire il disinteresse delle formazioni politiche verso le
questioni della società dell'informazione: si ritiene che ci siano "pochi
utenti in Italia rispetto al totale degli elettori". Se anche fossero solo
il dieci per cento (ma probabilmente sono molti di più, soprattutto se si
considera che in molti casi un "utente" è un'intera famiglia)
sarebbero comunque un "partito" di notevole forza numerica. E non si
deve dimenticare che le prospettive di sviluppo economico e sociale passano
inevitabilmente per le tecnologie dell'informazione, al di là del numero
attuale degli utenti della Rete. Rutelli ha poi dimostrato di aver inteso almeno
in parte l'importanza della questione, ma non ne ha fatto un punto di forza
della campagna elettorale.
Torniamo alle prospettive per i mesi a venire. Il
futuro Presidente del Consiglio ha annunciato una "rivoluzione"
nell'impiego delle tecnologie per la pubblica amministrazione, con la nomina di
un esperto (l'ex top manager di IBM Lucio Stanca) come
"ministro" per l'innovazione tecnologica. E' curioso però osservare
che nei programmi del CCD è scritto a chiare lettere "Non vogliamo un
Sottosegretario all'innovazione, ma tutti i Ministeri impegnati nell'innovazione"...
Che è più o meno quello che avevamo scritto un anno fa alla presentazione del
programma del governo Amato (vedi Presidente, e la
società dell'informazione? ).
Il fatto è che il tempo passa, ma la classe politica non se ne accorge: si
potrebbe riscrivere oggi, con poche modifiche, un articolo di cinque anni fa: Vecchi
problemi per il nuovo Parlamento.
Dunque, per quanto si può capire, ci dovrebbe
essere un "esperto"al posto del non rimpianto Passigli. Ma il suo
compito non sarà troppo difficile, se si tiene conto di quanto è stato fatto
dal centro-sinistra negli anni passati, fin dal 1993 con l'istituzione
dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, e poi con le
leggi "Bassanini", che hanno avviato la "reingegnerizzazione"
dei processi della pubblica amministrazione. Per non parlare del sistema della
firma digitale, che a cinque anni dalla sua formulazione è ancora
all'avanguardia nel mondo.
Anche il progetto di e-government rimane un buon punto di partenza e non deve
essere cancellato.
I veri problemi sono altri e il programma del CCD
li coglie solo in parte: accanto al diritto di accesso, alla concorrenza sul
mercato del telecomunicazioni, alla formazione professionale, mancano le
"libertà" dei cittadini-utenti nella società dell'informazione, oggi
costrette da una serie di norme repressive come la legge sull'editoria, quella
sul diritto d'autore, l'assetto del sistema radiotelevisivo (conflitto di
interessi a parte) e via discorrendo. Quello che occorre non è la proclamata
"rivoluzione", ma seria una correzione di rotta nell'azione
legislativa, con la consapevolezza dell'importanza della posta in gioco.
Negli anni della passata legislatura in Italia
non si è verificata l'annunciata "convergenza digitale", ma una
deleteria "convergenza parlamentare" nell'approvazione di leggi
sbagliate, come quella sull'editoria e quella, per fortuna abortita, sui nomi a
dominio. Sarebbe utile se questa convergenza si verificasse anche nel Parlamento
che sta per insediarsi, nel rispetto dei (pochi e insufficienti) programmi che
ambedue le parti hanno presentato durante la campagna elettorale.
La sconfitta subita dalla formazione guidata da Rutelli non deve far dimenticare
le promesse: anche l'opposizione può presentare proposte di legge e battersi
per farle approvare, soprattutto quando esse non appaiono "di
sinistra" o "di destra", ma sono largamente condivisibili da
tutti.
E' per questo che riportiamo una sintesi delle proposte
dell'Ulivo accanto a quella dei programmi elettorali
della Casa delle libertà, pubblicate sul web nelle scorse settimane: per la
verità, alcune hanno un po' il suono delle minacce. Qualche giorno fa ci hanno
segnalato che nel programma di un partito c'era scritto "nessuna
agevolazione per il commercio elettronico"...
La Rete aspetta. |