Il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie ha "diramato alle
amministrazioni competenti" una bozza di decreto legislativo
"correttivo" del Codice dell'amministrazione digitale. Il testo è
stato inviato anche ad alcuni dei partecipanti alla riunione di esperti che si
è tenuta presso il Dipartimento per l'innovazione il 17 ottobre scorso (vedi Gli Stati Generali della firma digitale). Alcuni, non tutti, perché il testo ancora una volta è
"secretato" e ancora una volta si vuole (ma perché?) far
passare un provvedimento a dir poco indecente. Il testo accoglie solo alcuni
dei suggerimenti avanzati nella riunione. Per quanto riguarda il documento informatico e le
firme elettroniche molti cambiamenti vanno nel senso opposto: le nuove proposte
aumentano la confusione e si allontanano sempre più dalla direttiva europea.
L'articolato è sempre più contorto. Una sorta di perversione normativa ha portato gli estensori della bozza a
ricercare le forme più complicate possibili per esprimere principi semplici, del
tutto pacifici nel nostro ordinamento. Ecco un esempio:
Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o
con firma digitale, formato nel rispetto delle regole tecniche stabilite ai
sensi dell'articolo 71, che garantiscano l'identificabilità dell'autore,
l'integrità e immodificabilità del documento, soddisfa il requisito della
forma scritta anche quando è richiesto dalla legge o dalle parti sotto pena di
nullità.
Che significa? Il congiuntivo (garantiscano) fa pensare che siano
previste anche regole tecniche che "non garantiscano"... E
allora a che servirebbero? E che motivo c'è di richiamare - senza citarlo, ché
sarebbe troppo semplice - l'art. 1350 del codice civile sugli atti che devono
farsi per iscritto?
La disposizione è la stessa che era stata formulata nel DPR 513/97: "Il documento informatico munito dei requisiti previsti dal
presente regolamento soddisfa il requisito legale della forma scritta".
Anche una matricola della facoltà di Giurisprudenza capiva al volo che, in
assenza dei requisiti, la forma scritta non c'era, con tutti i riferimenti
impliciti, ma chiarissimi, all'art. 1350 c.c.
Ma in altri punti il legislatore è sceso ancora più in basso. Si è
convinto (finalmente) che l'ermetica definizione di "firma
elettronica", nel combinato disposto con quella (errata) di
"autenticazione informatica", dava luogo a un testo delirante, che è
stato per mesi il "tormentone" della prima pagina di InterLex:
Firma elettronica: l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure
connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come
metodo di validazione dell'insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed
univoco ad un soggetto, che ne distinguono l'identità nei sistemi
informativi, effettuata attraverso opportune tecnologie al fine di garantire la
sicurezza dell'accesso.
Allora che cosa ha fatto? Invece di eliminare la definizione di
"autenticazione informatica", come era stato suggerito da tutti (o
quasi) gli esperti della materia, e di correggere di conseguenza tutte le
disposizioni che la richiamavano, si è limitato a mutilarla, mutilando anche la
definizione della firma elettronica. Con questo risultato:
firma elettronica: l'insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite
associazione logica ad altri dati elettronici.
Un'espressione che non significa nulla. Perché, per fare un solo esempio, l'indice
di un libro in formato digitale (dati in forma elettronica) con i link (associazione
logica) ai capitoli (altri dati elettronici), secondo questa
definizione sarebbe una firma elettronica. Già dalla precedente formulazione erano state dedotte interpretazioni strampalate, figuriamo che cosa potrebbe
succedere se passasse questa sciocchezza.
E' il caso di ricordare, ancora una volta, che nella realtà tecnologica e
nelle previsioni della direttiva europea esistono due categorie di validazione:
quella dei soli dati (data authentication) e quella dell'identità (entity
authentication), che non devono essere confuse. La electronic signature
appartiene alla prima (e quindi non è una "firma"), la firma digitale
alla seconda. E che se la firma digitale possiede determinati requisiti (che non
attengono alla sua sostanza tecnica), allora il documento acquista la piena
efficacia legale. E che non c'e alcuna differenza tecnica tra la firma digitale
e la firma elettronica, sicché mantenere la doppia definizione nel testo serve
solo a creare equivoci.
Ma a questo punto non vale la pena di ripetere cose troppe volte scritte su
queste pagine, tanto nessuno ne tiene conto. Ci limitiamo a segnalare un altro
paio di orrori della bozza. Il primo riguarda la previsione del valore
probatorio del documento informatico sottoscritto con firma qualificata, alla
quale era stata aggiunta la discussa disposizione "L'utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia data prova
contraria".
Era stato suggerito di cancellarla, ma invece è stata maldestramente
"completata":
In caso di disconoscimento della sottoscrizione l'utilizzo
del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che sia
data prova contraria.
In caso di disconoscimento? Ma allora, se non c'è disconoscimento,
l'utilizzo del dispositivo non si deve presumere come riconducibile al
titolare? In ogni caso, la disposizione è in contrasto con la direttiva
1999/93/CE, che all'art. 5. c. 1, prescrive: "Gli Stati membri provvedono a che le firme elettroniche avanzate basate su un certificato qualificato e create mediante un dispositivo per la creazione di una firma
sicura posseggano i requisiti legali di una firma in relazione ai dati in forma elettronica così come una firma autografa li possiede per dati cartacei"
(errori di traduzione a parte). Così si crea una disparità con il regime della
firma autografa, disparità che può anche condurre a ulteriori difficoltà
interpretative.
Ancora:
Dopo il comma 1 dell'articolo 20 è inserito il seguente: "1 bis. Il
documento informatico formato in modo da garantire la permanenza temporale e la
non modificabilità automatica del documento è idoneo a soddisfare il requisito
della forma scritta."
Ma come si fa a "formare un documento informatico in modo da garantire
la permanenza temporale" del documento stesso? Non si può. E non ha
senso l'espressione "garantire la non modificabilità automatica" del documento (se
mai della sua rappresentazione). E poi questa prescrizione si scontra con
quella, già citata, per la quale l'efficacia di forma scritta è attribuita al
documento con firma qualificata. Insomma, la confusione più totale.
E' chiaro che con norme di questa fatta dovranno passare anni prima
che l'amministrazione "digitale" possa funzionare. Il Dipartimento per
l'innovazione sembra sia riuscito a compiere un'impresa difficilissima:
progettare il caos.
In conclusione, ancora una volta sorge il sospetto che qualcuno, e chissà
per quale motivi, si ostini a cercare di demolire quel formidabile edificio
giuridico che era stato costruito con il DPR 513/97, sulla base del secondo
comma dell'articolo 15 della legge 59/97. Ricordiamo alcuni titoli comparsi su
queste pagine: Si vuole abrogare la firma
digitale? (7 settembre 2000), Il Governo cancella un
vanto dell'Italia (10 gennaio 2002), La Costituzione, la delega e
le "disarmonie" del testo (17 gennaio 2002), Lo schema governativo
stravolge il processo civile (24 gennaio 2002), fino a Un serial killer si nasconde nel Palazzo
(17 marzo 2005).
E fino a un articolo del 25 ottobre scorso, che si intitolava Idee chiare sulle firme
elettroniche. Finalmente!
Quale errore! Dovremmo cancellarlo, se fosse possibile cancellare anche la
memoria delle persone che hanno preso parte alla riunione del 17 ottobre presso il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie,
nella quale era sembrato che la soluzione di tanti problemi fosse a portata di
mano.
Dovremmo anche cancellare anni di analisi, di discussioni, di proposte. Ma questo
archivio storico che è ormai InterLex manterrà le tracce del percorso di una
ricerca giuridica che oggi può sembrare del tutto inutile.
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