La confusione è grande e il futuro
è in ritardo
di Manlio Cammarata - 13.12.01
Pochi giorni fa, il 9 dicembre, è entrata in vigore la disposizione del
secondo comma dell'articolo 31 della legge
340/2000: basta con l'invio di documenti cartacei dalle imprese alle
Camere di commercio. Ora sono ammessi solo documenti informatici, muniti di
firma digitale ai sensi del DPR 445/2000. E' il primo passo formale e
sostanziale verso l'abolizione della carta e l'affermazione del documento
informatico come "informazione primaria e originale", almeno
nell'ambito della pubblica amministrazione (art.
9 DPR 445/2000).
Ma è prematuro alzare i calici e brindare all'inizio di una nuova era.
Sono ancora troppi gli ostacoli che si oppongono alla diffusione della firma
digitale e al suo utilizzo su vasta scala, con tutti i vantaggi conseguenti. Il
documento informatico ha molti "nemici", alcuni mossi da qualche
interesse, altri da ignoranza, preconcetti o "tecnofobia". Da tutto
questo nasce una grande confusione, nella quale cerchiamo di mettere un po'
d'ordine. Per quanto è possibile.
La confusione delle pubbliche autorità
Come tutti ormai dovrebbero sapere, il "documento informatico valido e
rilevante a tutti gli effetti di legge" è stato introdotto con l'art.
15, c. 2 della 57/97, la prima "legge di semplificazione". Lo
scopo principale era l'attribuzione del pieno valore legale ai documenti
scambiati tra le pubbliche amministrazioni e tra queste e i cittadini; con
straordinaria lungimiranza il legislatore estendeva la validità e l'efficacia
del documento informatico anche ai rapporti tra privati.
Successivamente, nel 1999, è stato progettato e messo in cantiere un secondo
strumento di dialogo tra i cittadini e gli uffici: la carta d'identità
elettronica (CIE), che in parte si sovrappone all'impiego della firma digitale.
Il progetto della CIE fa acqua da tutte le parti. E' frutto di una
distorta visione della tecnologia, perché accoppia alla carta a microprocessore
(standard di fatto e di diritto) una banda ottica (standard solo in teoria,
perché non è stata adottata praticamente da nessuno). La banda ottica dovrebbe
costituire una sorta di banca dati "portatile", che di fatto duplica
il contenuto di altre banche dati, alle quali è possibile accedere on line con
la "autenticazione forte" garantita dal microprocessore.
Tutto questo comporta difficoltà costruttive e costi spaventosamente alti: un
apparecchiatura per la scrittura in parallelo della memoria della carta e della
banda ottica, attualmente inesistente sul mercato, costa dalle dieci alle venti
volte più di un semplice lettore/scrittore di smart card. Inoltre il processo
richiede tempi lunghi ed è quindi necessario che le amministrazioni acquistino
un numero più alto di apparecchi per rendere il servizio in tempi accettabili.
Di tutto questo si è certamente reso conto il Ministro dell'innovazione e
delle tecnologie, competente per la materia secondo il DPCM
27 settembre 2001, quando il 18 ottobre scorso ha annunciato un più
efficiente strumento di dialogo tra i cittadini e pubblica amministrazione, una
"carta dei servizi" assolutamente standard (vedi Innovazione,
le sfide del Ministro). Dunque una terza ipotesi, che avrebbe comunque
allontanato quella risolutiva della firma digitale, ormai pronta sul piano
normativo.
Ma, poche settimane dopo, lo stesso ministro Stanca ha fatto marcia indietro, e
ha annunciato in un programma televisivo l'imminente diffusione della carta
d'identità elettronica come mezzo di dialogo tra uffici pubblici e cittadini (e
si è ben guardato dal fare previsioni sui tempi dell'operazione).
Non è finita, perché c'è un'altra novità in vista: circola una bozza del
"collegato" alla legge finanziaria 2002-2005, che all'art. 6, comma 2,
prevede che "in aggiunta alle modalità di invio e sottoscrizione delle
istanze di cui all'art. 38 del testo unico
sulla documentazione amministrativa" le pubbliche amministrazioni e i
gestori dei servizi pubblici possono "riconoscere la validità delle
istanze e delle dichiarazioni inviate per via telematica con l'utilizzo da parte
dell'interessato di un codice personale segreto o altro idoneo sistema di
identificazione personale".
Un sistema basato su semplici password è quanto di più insicuro si possa
immaginare. Inoltre sarebbe fonte di grande confusione, perché ogni cittadino
dovrebbe procurarsi e disporre di tanti codici per quanti saranno gli uffici con
i quali dovrà essere in contatto. Mentre con la firma digitale tutto sarebbe
più facile e, soprattutto, molto più sicuro.
Ancora. Si continuano a impostare nuovi servizi e nuove banche dati con
procedure cartacee, anche nei casi in cui la firma digitale - almeno in
alternativa alle procedure tradizionali - consentirebbe una ben più alta
efficienza. E' il caso del nuovo Registro degli
operatori di comunicazione o, per fare un esempio recentissimo, della Camera
arbitrale on line varata in questi giorni a Milano
La confusione dei certificatori
I certificatori commerciali iscritti nell'elenco
dell'AIPA sono dodici: forse troppi. Ma il fatto è che a quasi tre anni
dall'emanazione delle regole tecniche (DPCM 8 febbraio 1999), e anche tenendo
conto delle oggettive difficoltà di impianto del sistema, i certificatori non
sembrano pronti a far decollare l'offerta. Ottenere un certificato
funzionante è ancora un'impresa quasi impossibile, come ci racconta Nicoletta
Zingarelli in Alla ricerca della firma perduta.
Sembra addirittura che qualcuno dei certificatori non veda chiaro nemmeno nel
proprio ruolo, facendo confusione tra l'attività relativa alla firma digitale
"a norma" e quella di Certification Authority. Per non parlare
della confusione tecnica: dall'esame dei primi software e dei primi dispositivi
di firma in circolazione sembra che ci siano seri problemi di interoperabilità
tra i programmi, i lettori di smart card e le stesse smart card, delle quali
sembra esistere un numero indefinito di standard.
La confusione degli utenti
Questo punto è forse il più critico, perché le leggi più innovative e le
applicazioni più avanzate non servono a nulla se mancano gli utenti, se
"non c'è il mercato". In questo caso il mercato sarebbe costituito da
milioni di soggetti (imprese e professionisti, prima ancora dei
"semplici" cittadini), ma quasi nessuno ha capito che cosa è e a che
serve la firma digitale.
E' utile leggere l'articolo, firmato da tre professionisti, Firma
digitale obbligatoria: fermate quella legge!, perché riassume con
straordinaria efficacia la situazione. Meriterebbe un lungo e dettagliato
commento, ma qui ci limitiamo a qualche rapida osservazione.
1. Una considerazione preliminare: l'obbligatorietà della firma digitale per
determinati adempimenti è indispensabile per l'efficienza e del sistema:
basta un solo "pezzo di carta" per rendere inefficaci le procedure
automatizzate. I processi misti, manuali e automatici per gli stessi
adempimenti, sono uno spreco di risorse umane ed economiche. Non c'è
possibilità di scelta. O si decide di rendere efficiente la pubblica
amministrazione con procedure automatiche obbligatorie, o si va avanti
nel marasma attuale.
2. Lo scritto dimostra che gli estensori sono digiuni e smarriti di fronte
alle tecnologie ("cinque software non coordinati" - e non è vero - la
smart card che si "smagnetizza" - ma non è una carta magnetica - e
via elencando). Per chi ha un minimo di pratica col PC, l'installazione del
software di firma e verifica (e non del software di "crittografazione"
- rectius "cifratura" - che non c'entra nulla) e
l'apprendimento del suo uso sono una questione che si risolve in meno di
mezz'ora. Invece per chi è ancora legato ai "faldoni" , alla penna e
alle file davanti agli sportelli, è un passo lunghissimo e inquietante.
3. I "problemi pratici" che sarebbero determinati dalla firma
digitale sono in parte gli stessi delle procedure tradizionali. Chi è abituato
a concludere le pratiche all'ultimo momento, a pochi minuti dalla scadenza, deve
in ogni caso fare i conti con gli imprevisti: un incidente stradale, che
impedisce di arrivare in tempo utile allo sportello, ha lo stesso identico
effetto di una smart card che si guasta.
Invece la sicurezza delle procedure digitali impedisce le pratiche
"all'italiana": le firme in bianco, le segnature di protocollo
"di favore", i consueti "firma tu al posto mio" diventano
impossibili. Le marche temporali rendono inutile le mance agli uscieri per
"mettere la pratica sopra le altre" o farla accettare dopo la
scadenza del termine.
4. E' vero che c'è il problema, serissimo, della verifica dell'effettiva
paternità del del documento (in particolare della scrittura privata) e
delle relative conseguenze in sede processuale. Ma è venuto il momento di
mettere in chiaro che le norme pensate per la carta non sempre potranno
applicarsi al documento informatico. I giudizi di verifica della firma non
verteranno tanto sulla paternità della scrittura, quanto sul rispetto delle
procedure, in particolare per le validazioni temporali e i tempi di
pubblicazione e di verifica delle liste di sospensione e revoca.
I truffatori degli anni a venire non potranno falsificare le firme altrui, ma
sfrutteranno i ritardi del sistema e soprattutto le negligenze nelle verifiche
(si veda anche La validazione della firma digitale: una
verifica cartacea? Giorgio Rognetta).
5. Sempre su questo aspetto, si deve ricordare che l'art. 8, comma 4 delle
regole sancisce l' obbligo del titolare di:
a) conservare con la massima diligenza la chiave privata e il dispositivo che la
contiene al fine di garantirne l'integrità e la massima riservatezza;
b) conservare le informazioni di abilitazione all'uso della chiave privata in
luogo diverso dal dispositivo contenente la chiave;
c) richiedere immediatamente la revoca delle certificazioni relative alle chiavi
contenute in dispositivi di firma di cui abbia perduto il possesso o difettosi.
Se non segue queste elementari precauzioni e si lascia "fregare"
dispositivo e password, è ovvio che ne pagherà le conseguenze.
Molto altro si potrebbe dire su questi argomenti, ma la conclusione è
comunque questa: con la firma digitale si pone fine alla superficialità, al
pressapochismo, all'improvvisazione, alle "prassi" ai limiti della
legge. E' per questo che l'innovazione ha molti nemici, è per questo che a
quasi cinque anni dalla previsione legislativa il documento informatico non ha
il ruolo che i suoi "inventori" avevano immaginato.
Forse con la prima "Bassanini" e con il primo regolamento sono stati
anticipati i tempi, ma dopo più di cinque anni dalla pubblicazione della prima
bozza dell'AIPA possiamo ben dire che il futuro è in ritardo.
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