L'occasione buona per fare chiarezza
di Manlio Cammarata - 19.09.03
La "legge di semplificazione 2001" (229/03),
giunta in porto con incredibile ritardo, presenta alcune disposizioni che
possono avere un impatto non indifferente sullo sviluppo della società
dell'informazione. Ci sono, fra l'altro, una generica previsione di adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie
informatiche in tutti i procedimenti amministrativi (art.
1, c. 4, lett. f) e l'istituzione del registro informatico degli
adempimenti amministrativi delle imprese (art.
16, con l'obbligo della
trasmissione informatica dei documenti da parte delle pubbliche
amministrazioni), mentre l'art. 18 prevede la consultazione gratuita dei
cittadini, per via telematica, sulle iniziative del Governo.
Questo, tuttavia, "può pubblicare su sito telematico le notizie
relative ad iniziative normative del Governo, nonché i disegni di legge di
particolare rilevanza, assicurando forme di partecipazione del cittadino",
ma non c'è la previsione della pubblicazione sistematica di tutti i
provvedimenti approvati, come vorrebbe l'elementare principio della
trasparenza dell'azione di governo.
L'obbligo di mettere a disposizione degli interessati i dati identificativi
delle pendenze e di pubblicare sull'internet tutte le decisioni è invece
previsto dall'art. 19 per le i procedimenti davanti ai giudici amministrativi
e contabili. E' un primo passo: sarà un grande giorno quello in cui sarà
assicurato l'accesso a tutte le decisioni della magistratura ordinaria.
Qui ci occupiamo dell'art.
10, dedicato al "Riassetto in materia di società dell'informazione".
Esso prevede il riordino dell'intera materia che riguarda il
documento informatico, compresa "la sicurezza informatica dei dati e dei
sistemi" e "le modalità di accesso informatico ai documenti e alle
banche dati di competenza delle amministrazioni statali anche ad ordinamento
autonomo". Alcune disposizioni vanno lette con attenzione, perché danno
al legislatore la possibilità di correggere i non pochi punti critici della
normativa attuale.
Partiamo dal comma 1, che delega il Governo a emanare "uno o più decreti
legislativi" per regolare una serie di aspetti elencati in dettaglio.
Vediamone alcuni.
a) graduare la rilevanza giuridica e l'efficacia probatoria dei diversi
tipi di firma elettronica in relazione al tipo di utilizzo e al grado di
sicurezza della firma;
Qui si deve aprire un discorso non semplice. Se da una parte è chiara e
corretta la distinzione tra "la rilevanza giuridica e l'efficacia
probatoria" (che sfugge a diversi commentatori), la "graduazione"
degli effetti giuridici in funzione del tipo di utilizzo e del grado di
sicurezza sembra fatta apposta per perpetuare l'attuale confusione sui
"livelli" delle firme (vedi Sparita l'equivalenza tra
firma autografa e digitale!).
All'origine del problema c'è l'insensata impostazione della direttiva
1999/93/CE. Essa infatti confonde in un unico calderone la firma digitale con
pieni effetti legali (equivalente cioè alla firma autografa) con gli altri
sistemi di riconoscimento e validazione informatica. L'equivoco è stato ripreso
e aggravato nelle norme di recepimento, forse a causa della sommaria
traduzione del termine inglese signature. Esso infatti non significa solo
"firma", ma anche "marchio", "sigillo" e persino
"sigla musicale" (vedi Una catena di errori che parte da
Bruxelles).
Partendo da questa elementare constatazione, è facile capire che il problema
della "graduazione" è un falso problema: da una parte c'è la
"firma", in senso stretto, che può essere una sola, dall'altra le
varie forme di "sigilli digitali".
In sostanza è opportuno ritornare all'impostazione della normativa
italiana del '97, che regolava solo la firma digitale come equivalente alla
firma autografa e lasciava all'ordinamento esistente le regole per tutto il
resto. Regole che, tranne qualche dettaglio, non erano in contrasto con le
previsioni comunitarie. Messo in questi termini il compito del legislatore si
presenta abbastanza facile, ma è necessario compiere uno sforzo di intelligenza
per adeguare l'ordinamento agli obblighi comunitari, invece che applicarsi alla
passiva e pedissequa copiatura degli articoli della direttiva.
Il punto successivo sembra quasi ovvio, ma nasconde tra le righe un altro
problema delicato:
b) rivedere la disciplina vigente al fine precipuo di garantire la più
ampia disponibilità di servizi resi per via telematica dalle pubbliche
amministrazioni e dagli altri soggetti pubblici e di assicurare ai cittadini e
alle imprese l'accesso a tali servizi secondo il criterio della massima
semplificazione degli strumenti e delle procedure necessari e nel rispetto dei
principi di eguaglianza, non discriminazione e della normativa sulla
riservatezza dei dati personali;
Questa delega potrebbe servire a correggere una grave incongruenza del testo
unico sulla documentazione amministrativa (DPR
445/00). L'accesso dei cittadini ai servizi delle pubbliche amministrazioni è
previsto con procedure che
offrono diversi livelli di sicurezza. Si legge infatti all'art. 38 del TU:
1. Tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica
amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi possono essere
inviate anche per fax e via telematica.
2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica sono valide:
a) se sottoscritte mediante la firma digitale, basata su di un certificato
qualificato, rilasciato da un certificatore accreditato, e generata mediante un
dispositivo per la creazione di una firma sicura;
b) ovvero quando l'autore è identificato dal sistema informatico con l'uso
della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi.
E' nota a tutti la totale insicurezza del fax che, fra l'altro, non consente
nemmeno l'identificazione a distanza attraverso la CIE o la CNS, imposta dal
secondo comma per la validità dell'istanza o della dichiarazione. Ma comunque
le carte che "identificano" il mittente (con quale certezza?) non rendono sicuro il documento, perché in assenza
della firma digitale non si possono rilevare alterazioni, anche
accidentali, degli atti trasmessi. Se per la validità dell'atto cartaceo è necessaria la
sottoscrizione autografa, e le eventuali alterazioni del contenuto sono
facilmente rilevabili, nell'atto telematico non si può fare a meno della firma
digitale, l'unica soluzione per garantire l'integrità del documento trasmesso
per via telematica.
Senza contare che dovrebbe essere obbligatorio anche l'uso della posta
elettronica certificata, per ottenere l'equivalente della ricevuta della
"raccomandata" inviata attraverso la posta cartacea.
Nell'articolo 10 della legge 229 si incontra poi una disposizione che
potrebbe comportare la scomparsa di una norma del '97, una norma di grande
rilevanza. Recita la lettera c) del primo comma dell'art. 1:
c) prevedere la possibilità di attribuire al dato e al documento informatico
contenuto nei sistemi informativi pubblici i caratteri della primarietà e
originalità, in sostituzione o in aggiunta a dati e documenti non informatici,
nonché obbligare le amministrazioni che li detengono ad adottare misure
organizzative e tecniche volte ad assicurare l'esattezza, la sicurezza e la
qualità del relativo contenuto informativo;
Il DPR 513/97 stabiliva all'art. 18,
ripreso dall'art. 9, comma 1, del TU
1. Gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti
informatici delle pubbliche amministrazioni, costituiscono informazione primaria
ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto,
riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge.
Questa disposizione, che era stata considerata dai commentatori più attenti
come un'innovazione di portata storica, potrebbe sparire. Ci troviamo di fronte a una delega che prevede
solo "la possibilità" di attribuire all'informazione pubblica
in formato digitale "i caratteri della primarietà e originalità".
Un deludente passo indietro (che, fra l'altro, non è richiesto a livello
europeo), che si può spiegare solo con l'ottusa resistenza della burocrazia a
ogni forma di innovazione e alla sua insana passione per le carte, i fascicoli,
i faldoni e la polvere degli archivi.
Ma in fondo è (forse) solo una questione di principio, o un intoppo
"culturale" che, in questa fase, non cambia la sostanza dei problemi
da risolvere. Problemi che riguardano le "disarmonie" con
l'ordinamento introdotte dal DLgs 10/02, la scarsa chiarezza delle disposizioni,
l'insicurezza delle applicazioni e, più in generale, la difficoltà dei
cittadini e dei burocrati di capire la sostanza e i termini di quella che si
può definire come una "innovazione inevitabile".
Con la delega contenuta nell'art. 10 della legge 229 si apre l'opportunità di
risolvere almeno la parte che riguarda gli aspetti normativi. Ci sono diciotto
mesi di tempo: troppi, considerando gli anni trascorsi dal DPR 513, durante i
quali è stato possibile mettere a fuoco i veri aspetti critici della firma
digitale.
Post scriptum
Ci era sfuggita una notizia
ANSA del 4 luglio scorso, secondo la quale le carte di identità
elettroniche rilasciate da alcuni comuni toscani saranno recapitate ai cittadini
attraverso il servizio postale. Alla faccia della sicurezza! A un
malintenzionato basterà poco per intercettare la missiva e poi farsi passare, a
distanza, per un altro. Se la notizia corrisponde a verità, fa il paio con
quella (verificata) sui dispositivi di firma digitale consegnati ai
commercialisti all'insaputa dei titolari (vedi "Identificare con
certezza": il problema).
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