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Firma digitale

"Semplificazioni" confuse, effetti incerti

di Manlio Cammarata - 11.09.08

 

Le polemiche erano scoppiate subito, appena la stampa aveva reso noto il testo di un comma aggiuntivo al decreto-legge 112/2008 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria). La nuova norma avrebbe modificato il regime dei trasferimenti di quote delle società a responsabilità limitata, consentendo di scavalcare il controllo notarile e di inviare al registro delle imprese un semplice documento informatico con firma digitale (vedi  Un "baco" che non c'è e una scorciatoia per i disonesti, I postini e la certezza del sistema di Enrico Maccarone e il comunicato del Notariato). Esultavano i commercialisti e i fautori della semplificazione a ogni costo e le critiche dei notai venivano bollate come la solita autodifesa della casta.

Ora quel testo è legge (art. 36, c. 1-bis, legge 133/08). Ma una lettura attenta rivela che in realtà l'autentica notarile resta necessaria e la sola "semplificazione" è nella possibilità di trasmettere l'atto per mezzo di un "intermediario abilitato" (di solito un commercialista), oltre che depositato dal notaio.
L'interpretazione, che si può leggere nell'articolo Quote societarie: la sola novità è nell'invio dell'atto di Enrico Maccarone e Gaetano Petrelli, è condotta con rigore... notarile e difficile da contestare. Ma era questa l'intenzione del legislatore? Probabilmente no. Comunque il risultato è che di fatto non c'è nessuna sostanziale semplificazione.

Purtroppo di questi tempi gli infortuni legislativi sono frequenti. Solo nel comma in questione ce n'è un altro, che rivela la superficialità di chi scrive i testi delle  leggi e la confusione normativa che regna nel campo del documento informatico. Dice la norma che l'atto che deve essere inviato dall'intermediario è "sottoscritto con firma digitale". Il codice dell'amministrazione digitale (art. 1, comma 1, lett. q) dice che la firma digitale è "un particolare tipo di firma elettronica qualificata". Allora l'atto di trasferimento non può essere sottoscritto con la firma elettronica qualificata, ma solo con un "particolare tipo" di essa?
Considerando che la firma elettronica qualificata ha gli stessi effetti della firma autografa (anche nel rispetto della normativa europea), la dizione della nuova norma è quantomeno imprecisa e riflette la confusione definitoria del DLgv 82/05, che abbiamo tante volte messo in luce. (vedi, fra l'altro Idee sempre più confuse sulle firme elettroniche e Firme elettroniche, il Codice è da rifare).

Un altro motivo di perplessità nasce dall'art. 31 della stessa legge 133:
Durata e rinnovo della carta d'identità
1. All'articolo 3, secondo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, le parole: «cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «dieci anni» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le carte di identità rilasciate a partire dal 1° gennaio 2010 devono essere munite della fotografia e delle impronte digitali della persona a cui si riferiscono.»
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Il documento in questione è a prima vista quello tradizionale, cartaceo, perché il nuovo è definito "carta d'identità elettronica" dal DPCM 437/99.

Il punto è che ai sensi dell'articolo 7-vicies ter della legge 31 marzo 2005, n. 43, la carta d'identità tradizionale deve essere sostituita da quella elettronica "all'atto della richiesta del primo rilascio o del rinnovo". Dunque anche qui la dizione potrebbe essere imprecisa, perché si sarebbe dovuto scrivere "carta d'identità elettronica" e non "carta d'identità".
Ma c'è il fatto che il documento cartaceo continua a essere emesso e rinnovato da molti comuni. E la differenza, per quanto riguarda le impronte digitali, non è da poco: sul documento cartaceo possono essere solo materialmente impresse e quindi visibili. Invece su quello informatico sono caricate nella memoria in forma codificata e invisibili, con tanti vantaggi per la privacy.

Dal dubbio su quale carta debba durare dieci anni, e considerando che in genere una carta di credito o un bancomat dopo tre anni sono in condizioni pietose, nasce una speranza: che il legislatore abbia finalmente abbandonato il troppo costoso progetto della carta d'identità elettronica, che compie dieci anni. E appartiene ormai all'archeologia tecnologica (vedi CIE: un miliardo di euro buttati via?).

 

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