I primi giorni dell'anno sono quelli delle buone intenzioni. Così il 2 gennaio Il
Sole 24 ore pubblica un intervista con il ministro per la pubblica
amministrazione e l'innovazione Renato Brunetta. Sì, Brunetta, quello dei
tornelli. Quello che ha esordito scagliandosi contro i "fannulloni"
pubblici. Imponendo, fra l'altro l'uso dei tornelli agli ingressi, per
controllare che i dipendenti perdano tempo in ufficio invece che al bar o a fare
la spesa. Invece di lasciarli a casa a telelavorare, con un colossale risparmio
in termini di tempo per gli spostamenti, inquinamento atmosferico, stress. Senza
contare che i tornelli costano un sacco di soldi.
Quello dei tornelli è il primo esempio di innovazione alla rovescia. Ma
sotto le etichette dell'innovazione e della semplificazione stanno passando
progetti più di immagine che di sostanza, se non addirittura controproducenti a
lungo termine.
Ritorniamo all'intervista dell'inizio dell'anno. Il ministro annuncia
una serie di iniziative, fra le quali spicca l'uso degli strumenti telematici
per le comunicazioni tra uffici pubblici e cittadini. Però sembra non
considerare il fatto che in moltissimi casi gli uffici devono essere certi
dell'identità della persona alla quale è destinata la comunicazione. E quindi
si dovrebbe risolvere prima di tutto il problema della carta d'identità
elettronica, praticamente fermo da più di dieci anni (vedi Carta vince, carta perde: chi vince nel gioco della
CIE? e tanti altri articoli nella sezione Pubblica
amministrazione, fino a CIE: la quinta interrogazione
parlamentare).
Le "semplificazioni" sono iniziate con la discussa e incerta abolizione dell'intervento del
pubblico ufficiale nei trasferimenti di quote delle società a responsabilità
limitata (Un "baco" che non c'è e
una scorciatoia per i disonesti, I postini e la certezza del sistema e Quote societarie: la sola
novità è nell'invio dell'atto). Ora, con l'art. 16, c. 12 del decreto-legge 185/2008,
si vuole eliminare l'attestazione da parte del pubblico ufficiale della
corrispondenza tra l'originale cartaceo distrutto e il documento conservato
digitalmente. E' evidente che il regime attuale è troppo oneroso, ma si deve
trovare una soluzione che non apra la porta a una valanga di falsi non
identificabili come tali (si pensi, per fare un solo esempio, alla distruzione
dei verbali del consiglio di amministrazione di una grande società,
sostituiti da versioni digitali modificate per nascondere qualcosa).
E' discutibile anche l'obbligo di avere (ma non di usare...) una casella di
posta elettronica certificata, previsto dal sesto e settimo comma del già
citato art. 16 del decreto-legge 185/08,
rispettivamente per le imprese e i professionisti. Discutibile all'origine anche
per gli sfasamenti dell'obbligo (subito per le nuove imprese, entro tre anni per
quelle esistenti, entro un anno per i professionisti). Ma inaccettabile dopo
l'approvazione in prima lettura al Senato, dove alla posta elettronica
certificata prevista dal nostro ordinamento è stato aggiunto un "o analogo
indirizzo di posta elettronica": come dire che qualsiasi standard va bene,
con tanti saluti all'interoperabilità e conseguente confusione al momento
dell'applicazione pratica.
Risparmiare carta è un'altra parola d'ordine. Se ne avvantaggia l'ambiente e si
risparmia denaro. Ecco un'idea per le pubbliche amministrazioni , nell'art. 27 della legge 133/2008:
1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta, dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni
pubbliche riducono del 50 per cento rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa per la
stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e
distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni.
2. Al fine di ridurre i costi di produzione e distribuzione, a decorrere dal 1°
gennaio 2009, la diffusione della Gazzetta Ufficiale a tutti i soggetti in
possesso di un abbonamento a carico di amministrazioni o enti pubblici o locali e'
sostituita dall'abbonamento telematico. Il costo degli abbonamenti è conseguentemente
rideterminato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto.
Il primo comma desta qualche perplessità: sono pronte tutte le
amministrazioni a scambiarsi relazioni e pubblicazioni in formato digitale? Il
risparmio potrebbe essere irrisorio, se non si vieta ai destinatari di stampare
i documenti ricevuti per via telematica. Ma oggi sembra difficile immaginare una
norma di questo segno. E quali sono le stampe previste da leggi e
regolamenti? Immaginiamo la confusione degli uffici al momento di
identificarle.
Bene, invece, il secondo comma, che si lega a un'altra decisione da valutare
(quasi) positivamente. Con il decreto-legge 22
dicembre 2008 n. 200 (Misure urgenti in materia di semplificazione
normativa), potrebbe essere avviato a soluzione l'annoso problema dell'accesso
gratuito alle norme, del quale si discute inutilmente dal 1995 (vedi i numerosi
articoli nella sezione Diritto di accesso).
Misure importanti, anche perché è stato redatto un impressionante elenco di
norme da abrogare: il fascicolo del disegno di legge di conversione consta di 1028
pagine!
C'è però un dettaglio non trascurabile, che giustifica il
"quasi": con la pubblicazione sull'internet non si affronta il
gravissimo problema della mancata disponibilità dei testi vigenti, coordinati
con le modifiche intervenute nel corso degli anni. A che serve, oggi, il testo
originale della legge sul diritto d'autore del 1941 o, più semplicemente, del
codice dei dati personali del 2003? Insomma, anche questo provvedimento può
creare non poca confusione.
L'elenco delle innovazioni e semplificazioni confusionarie, inutili o
controproducenti non finisce qui. Lasciamo a Paolo Ricchiuto le considerazioni
sulle "semplificazioni" nei trattamenti di dati personali (Le novità per gli amministratori di sistema, DPS: chi può semplificare e chi autocertificare?
e Privacy e marketing: il ritorno della carta) e
concludiamo con una "chicca": alla Camera dei deputati è stato
installato un sistema, basato sulle impronte digitali, per neutralizzare i
cosiddetti "pianisti". Quegli eletti che sarebbe più corretto
chiamare "prestigiatori", perché fanno apparire presenti i colleghi
che non sono in aula al momento delle votazioni. La soluzione è semplice ed
efficace, ma non può funzionare, perché occorre il consenso di ogni deputato.
E non tutti l'hanno dato. In nome della privacy, con una delle solite
interpretazioni di comodo della normativa sulla protezione dei dati personali.
Così il costoso sistema non serve a nulla. Ancora confusione (e quasi mezzo di
miliardo di costi) in nome
dell'innovazione.
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