Carta d'identità elettronica, carta nazionale dei servizi, tessera sanitaria.
Sono tre (diversi) sistemi che consentono l'identificazione a distanza di un
cittadino. Allora a che serve lo SPID? La risposta è semplice: a nulla. Anzi... Lo SPID,
si legge nelle FAQ del sito
dedicato "è il sistema di autenticazione che permette a cittadini
ed imprese di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione e dei
privati aderenti con un’identità digitale unica. L’identità SPID è
costituita da credenziali (nome utente e password) che vengono rilasciate all’utente
e che permettono l’accesso a tutti i servizi online".
Lasciamo perdere l'uso improprio della parola "autenticazione",
ormai adottata ufficialmente per indicare il "riconoscimento" e concludiamo,
a prima vista, che lo SPID è un'utile semplificazione.
Semplificazione? Prima di andare avanti leggete l'articolo
pubblicato il 7 febbraio scorso sul sito Agenda Digitale Spid, l'odissea di un docente per ottenere l'identità digitale:
nove mesi di burocrazia demenziale.
Qualcuno potrebbe chiedere se non c'è un sistema più semplice. Il sistema
c'è e si chiama Carta d'identità elettronica (CIE). Anche la CIE non è
un affare da nulla, se si pensa che esiste - sulla carta, curioso gioco di
parole - da vent'anni: risale infatti al 1997 la prima (confusa) previsione di
una carta d'identità "su supporto magnetico", nella legge di
semplificazione n. 127, nota come "Bassanini-bis".
Da allora si è succeduta una impressionante quantità di provvedimenti, che
hanno modificato a più riprese il progetto (alla fine di questa pagina c'è un
elenco - non completo - degli articoli che InterLex ha pubblicato sull'argomento
dal 1999).
Alla CIE si è aggiunta la Carta nazionale dei servizi (CNS), che ha
complicato le cose invece di semplificarle, anche perché c'era e c'è una terza
carta pubblica, la Tessera sanitaria/codice fiscale. Il risultato è
riassunto nella prima pagina di InterLex del 12 gennaio 2006: Il gioco delle tre carte (elettroniche).
Ora dal sito
dedicato alla CIE il Governo ci annuncia che sarà distribuita da tutti i
comuni italiani entro il 2018 e che sarà dotata di "un microprocessore a
radio frequenza che costituisce... un fattore abilitante ai fini
dell’acquisizione di identità digitali sul Sistema Pubblico di Identità
Digitale (SPID)".
A parte qualche perplessità suscitata dalla notizia che un microprocessore
costituisce un fattore abilitante, chi ha seguito la lunga vicenda ricorda
che la stessa CIE doveva servire anche per l'accesso alla pubblica
amministrazione. E che la CNS fu introdotta per accorciare i tempi (sic!)
imposti dalle complicazioni della CIE.
Alla fine dei conti, la CIE c'è e non si vede perché non possa essere utilizzata per
il riconoscimento del cittadino online.
Si risponde che l'uso della CIE richiede un dispositivo per la lettura delle
informazioni che contiene, mentre lo SPID può essere usato anche con un
telefonino. Già, il telefonino: lo strumento perfetto per "tracciare"
chi lo utilizza, anche se l'app di turno dovrebbe rispettarne la privacy (chi
vuole saperne di più legga gli ultimi articoli
pubblicati in Privacy e sicurezza).
In ogni caso, poiché l'accesso ai siti della PA avviene di regola con la
combinazione nomeutente/password, si può sempre fare con un dispositivo
portatile. Anche per il secondo livello di sicurezza, che impiega un codice
temporaneo. Al terzo livello occorre comunque un supporto fisico, tipo
smartcard, e quindi i dispositivi portatili sono fuori gioco.
Ma c'è una ragione in più, molto importante, per preferire la CIE ad altri
sistemi di riconoscimento: le procedure di identificazione del cittadino sono
"certe", perché affidate in partenza a una struttura pubblica e
validate da un circuito di emissione che offre un elevato grado di sicurezza, con
un'anagrafe
centrale affidata al Ministero dell'interno. Niente di simile
ai bizzarri sistemi di identificazione on line (tramite webcam) che sono
compiuti da imprese private denominate SPID provider.
Si deve tenere presente che la certificazione erga omnes dell'identità di un cittadino è un
atto di rilevanza pubblica, un atto pubblico. Esso dovrebbe sempre
essere formato da un soggetto qualificato e autorizzato specificamente a
compiere tale atto, cioè un pubblico ufficiale. Il quale, se per dolo o per
semplice negligenza certifica un'identità diversa da quella vera, compie il
reato di "falso in atto pubblico" previsto e punito dall'art. 476 del codice
penale: fino a dieci anni di reclusione!
La domanda è naturale: se è disponibile un sistema di riconoscimento on
line, basato su un'identificazione certa a tutti gli effetti di legge, a che
serve un sistema di riconoscimento meno sicuro?
Il Sistema Pubblico di Identificazione Digitale è una pura, enorme e costosa
operazione di facciata. E soprattutto inutile, oltre che poco sicura. Se
l'obiettivo è semplificare le relazioni tra i cittadini e la pubblica
amministrazione, la prima cosa da fare è abolirlo.
Per chi vuole sapere di più sulla lunga odissea della CIE,
qui sotto c'è un elenco
(forse incompleto) delle pagine pubblicate su questa rivista dal 1999. E può
essere interessante la lettura di due articoli comparsi qualche mese fa su Il
Fatto Quotidiano: Identità digitale (Spid), c’è un buco nella sicurezza: “Così
ti divento Matteo Renzi” di Thomas Mackinson e Identità digitale? Cittadino stai sereno di Umberto
Rapetto.
Su InterLex:
Innovazione e semplificazione fanno
rima con confusione - 20.01.09
CIE: la quinta interrogazione
parlamentare - 21.01.08
CIE: la quarta interrogazione
parlamentare - 12.11.07
CIE: la terza interrogazione parlamentare - 01.10.07
CIE: un miliardo di euro buttati via? - 23.07.07
CIE: i
testi di due interrogazioni presentate alla Camera dei deputati -
23.07.07
Carta vince, carta perde: chi vince nel gioco della
CIE? - 12.01.06
Emendamenti
in libertà: la baruffa sulla carta d'identità elettronica - 18.12.05
Benzi: i veri problemi della carta d'identità elettronica
- 17.06.04
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- 10.06.04
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- 10.06.04
CIE, CNS e open source - 03.06.04
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