Pubblica amministrazione. Innovazione. Semplificazione.
Dematerializzazione. Digitalizzazione. Conclusione? Mistificazione. Questo è
ciò che rimane di tante "-zioni" annunciate, almeno a giudicare dalle
tante storie di ordinaria burocrazia che si registrano ogni giorno. Leggete
questa. Mi arriva una lettera dal comune in cui abito. Non una
raccomandata. Una lettera così "ordinaria" che impiega sei giorni a
percorrere 400 metri. Contiene un
"Questionario TARSU" (Tassa sui rifiuti solidi urbani),
accompagnato da un foglio in cui si spiega come i dati catastali
dell'unità immobiliari siano richiesti ai sensi della circolare dell'Agenzia
dell'entrate eccetera eccetera e che il comune "provvederà alla
trasmissione all'Anagrafe Tributaria (cioè al Ministero dell'economia) ai sensi
della legge finanziaria 2007 e del provvedimento del direttore eccetera
eccetera. Attenzione: in caso di omessa o non corretta indicazione dei
dati, "è applicabile all'utente la sanzione amministrativa da € 258,00 a
€ 2.065,00". Tutto regolare? Beh, se lo prevede la legge... Il
punto è che che l'anagrafe tributaria vuole sapere i dati catastali della mia
abitazione. Dati che sono in possesso sia della stessa anagrafe, sia del comune,
perché l'immobile è regolarmente accatastato. Oltre che disciplinatamente
indicato da dieci anni nelle mie dichiarazioni dei redditi.
Ora si dà il caso che il testo unico sulla documentazione amministrativa (DPR
445/00) stabilisca all'art. 43, comma 1:
Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi non possono
richiedere atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che
risultino elencati all'art. 46, che siano attestati in documenti già in loro
possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare. C'è
di più: la recentissima legge 2/09 (di conversione del decreto-legge 185/08
"misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e
per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale")
all'art. 16-bis (Misure di semplificazione per le famiglie e per le imprese)
dice:
2. La richiesta al cittadino di produrre dichiarazioni o documenti al di
fuori di quelli indispensabili per la formazione e le annotazioni degli atti di
stato civile e di anagrafe costituisce violazione dei doveri d'ufficio, ai fini
della responsabilità disciplinare.
Per buona misura si potrebbe richiamare anche l'art. 18 della legge 241/90, che
dice:
3. ... sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti,
gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra
pubblica amministrazione è tenuta a certificare. Dunque
la richiesta dei dati catastali appare in contrasto con tutte le norme sulla
semplificazione emanate da quasi vent'anni. Si dovrebbe indagare per capire se
la richiesta diretta al cittadino residente sia un'iniziativa del comune (nel
qual caso si tratterebbe di violazione dei doveri d'ufficio) o se sia prevista
da qualcuna delle disposizioni richiamate nella richiesta stessa. In ogni caso
è uno spreco di carta e di soldi per l'invio, un carico di lavoro superfluo per
gli uffici e l'imposizione al
cittadino di un adempimento inutile, sotto la minaccia di sanzioni spropositate!
Un esempio di come la burocrazia riesca sistematicamente a vanificare tutti i
tentativi di innovazione e semplificazione che si sono susseguiti nel corso
degli anni. Ma non è solo la burocrazia che rema contro
l'innovazione. Lo stesso legislatore si contraddice spesso, annullando con una
norma quanto stabilito da una norma precedente. Al di là dei proclami, le vere innovazioni si contano sulla punta delle dita. Nel
1990 la legge 241 sul procedimento amministrativo. Rivoluzionaria per quei
tempi, ma poi soffocata dalla resistenza della burocrazia e da "novellazioni"
che ne hanno attenuato l'impatto positivo sui diritti dei cittadini. Nel 1993
l'istituzione dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione (AIPA).
Nel 1997 l'"invenzione", da parte della stessa AIPA della la firma
digitale. Un primato italiano per
l'evoluzione dell'ordinamento giuridico in funzione del progresso tecnoloogico. Poi più
nulla di sostanziale. Molti passi indietro. Nel 2000 i
primi colpi alla firma digitale, con gli errori nell'attuazione della direttiva
europea sulle firme elettroniche. Aggravati nel 2005 con il codice
dell'amministrazione digitale, prima e seconda edizione di male in peggio.
Intanto, nel 2003, l'AIPA è stata trasformata in CNIPA, con una norma quasi
certamente incostituzionale per vizio di delega. Da autorità indipendente
a esecutore dei disegni del governo. Ma non basta. Nonostante molte competenze
si siano perse per la strada e la politica annacqui sempre più la struttura e
le scelte dell'ente, il CNIPA ha ancora prodotto innovazione. Forse per questo
dà fastidio a qualcuno. Si è tentato a più
riprese di smantellarlo. Fino al disegno di legge AS1082
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività
nonché in materia di processo civile, approvato dal Senato il 4 marzo scorso),
che all'art. 4 contiene una delega per il "riordino" del CNIPA. Ma,
inaspettato, negli ultimi giorni è comparso uno schema di DPR, che
ignora la discussione parlamentare, con un diverso progetto di "riordino"
dell'ente. Tra le righe sembra configurare una specie di commissariamento politico del CNIPA.
Ma il provvedimento potrebbe essere illegittimo, poiché sembra che alcuni
cambiamenti previsti dal testo non possano rientrare nell'ambito della "delegificazione"
delimitato dalla legge finanziaria 2008. Da notare che il nuovo organismo
dovrebbe chiamarsi "Digit@pa". Digitapà? Ma questi signori non hanno
il senso del ridicolo? Restiamo alle cose serie, per
constatare che i pretesti dell'urgenza e
della semplificazione inducono il legislatore a legiferare a casaccio. Senza tener conto della coerenza dell'ordinamento e delle
reali possibilità della tecnologia. In questo modo si demolisce, un pezzo alla volta, quell'edificio di
certezze tecniche e giuridiche che era stato impostato con la "legge
Bassanini" del 1997. Abbiamo visto prima un tentativo di attribuire le
funzioni di pubblico ufficiale a qualsiasi dipendente pubblico, poi si è aperta
la strada alle manipolazioni dei documenti societari, scavalcando l'intervento
del pubblico ufficiale per i trasferimenti delle quote delle s.r.l.
Ora, con la già citata legge 2/09, chi detiene un documento cartaceo può
digitalizzarlo "autenticando" con la propria firma digitale la
conformità all'originale distrutto. Una festa per truffatori, falsificatori di
bilanci e altri malfattori. Non basta. Sempre con la legge
2/09 si prevede la formazione e la tenuta dei registri societari con strumenti
informatici (ma fino a oggi nessuna norma lo ha vietato). Ebbene, la nuova norma
prescrive:
Gli obblighi di numerazione progressiva, vidimazione e gli altri obblighi
previsti dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri,
repertori e scritture, ivi compreso quello di regolare tenuta dei medesimi, sono
assolti, in caso di tenuta con strumenti informatici, mediante apposizione, ogni
tre mesi a far data dalla messa in opera, della marcatura temporale e della
firma digitale dell'imprenditore, o di altro soggetto dal medesimo delegato,
inerenti al documento contenente le registrazioni relative ai tre mesi
precedenti. Di nuovo ci si affida a una inaffidabile
"autoautenticazione". Con un'aggravante: i registri in questione sono
per loro natura documenti soggetti a continue modifiche, quindi le firme
precedenti l'ultima non saranno mai verificabili. E' una disposizione tecnicamente
sbagliata, che in molti punti contraddice le indicazioni del codice
dell'amministrazione digitale.
Nel prossimo numero affronteremo più in dettaglio i problemi che potranno
verificarsi in conseguenza di queste improvvide
"semplificazioni". Come
al solito, si potrebbe continuare a lungo. Intanto, er chi volesse approfondire i punti
toccati in questa pagina, qui sotto c'è un elenco di articoli scelti tra i
tanti pubblicati in questi anni su InterLex. E proprio scorrendo le vecchie pagine
si fa un'interessante scoperta... archeologica. In un articolo del 2001 c'è un link che rimanda a un
testo governativo, il DPEF 2001-2004, pubblicato dal Governo. Ma il link non porta al
documento indicato. Si apre una pagina che dice: Se il documento che state
cercando è precedente all'8 maggio 2008 vi invitiamo a cercarlo nell'area
"Siti archeologici" di Governo.it. Siti archeologici? Quelli che
ricadono sotto la competenza delle soprintendenze del Ministero per i
beni culturali e ambientali? Lasciamo perdere. La pagina
prosegue con l'invito a usare il motore di ricerca o la mappa del sito. Ma un
quarto d'ora di clic non bastano a trovare il testo. Forse non c'è. Un perfetto
esempio di come l'amministrazione non sappia usare le tecnologie: al giorno
d'oggi l'integrazione di diversi archivi in un unico web non è difficile da
realizzare.
Per fortuna c'è Google, che trova il documento - in un altro sito - in un centesimo del tempo
inutilmente speso tra gli "archeologici" web del Palazzo. Esattamente
0,14 secondi. Provare per credere. Approfondimenti
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